Capitolo 3

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«Andiamo, Emily.» Ethan, mi tirò su, prendendomi per un braccio. Mi girai, per guardarlo per la prima volta. Due occhi color smeraldo incontrarono i miei, li avevo già visti da qualche parte, ma non ricordavo dove. «Chiamate la mia macchina. Ed appena, io e Emily, saremo arrivati, chiamatelo.»

Entrammo in macchina, un'auto di lusso. «Come stai?» mi chiese.
«Chi sei?» chiesi a mia voltai io. Mi fissava impassibile. Le immagini di Jusy, Clara o come cavolo si chiamava, mi passavano davanti agli occhi, facendomi tremare.

«Non so cosa trovi mio fratello in te.» disse con un sorriso malizioso. «Sei una bella ragazza, certo. Anzi bellissima, se vogliamo essere sinceri. Ma si nota quel poco di tocco di umano. Non sei come me o come mio fratello, noi non abbiamo niente di umano

«Io non voglio avere nulla a che fare, nè con te, nè con tuo fratello.» sbottai con voce tremante. Cercai di calmarmi, ma non riuscivo a smetterla di pensare a ciò che aveva fatto. «Assassino.» sussurrai a denti stretti.

«No, non lo sono. Ho solo ripreso i miei soldi.» disse con fare disgustato.

«Ma hai ucciso una ragazza!Vorrai fare lo stesso con me?» dissi con gli occhi lucidi. Non rispose, ma notai un lieve sorrisetto sulle sue labbra carnose.

La macchina si fermò: non mi ero nemmeno accorta della sua partenza. L'autista, anche lui molto chiaro di carnagione, aprì il mio sportello, porgendomi la mano per scendere. Quando fui scesa, vidi una villa stile inglese, enorme e tenuta meravigliosamente. Mi sentii spingere da dietro, Ethan mi fece salire le scalinate, mi voltai e vidi una fontana in mezzo, ed un giardino, molto accurato. Poi, entrammo e le porte si chiusero immediatamente dietro di noi.

I miei occhi scintillarono per un'altra volta. L'interno, arredato benissimo, come il castello della regina Elisabetta. Mi veniva da piangere per la luminosità che emanava quella stanza, era quasi fastidiosa.
Principessa, fu la prima parola che mi venne in mente. Mio padre mi chiamava così da piccola.

«Ti piace?» domandò.

«Beh, si.» riflettei io. «Preferirei andarmene.»

«Perché mai? Se ti piace tanto puoi rimanere qui.» lo guardai malissimo, mentre lui sorrideva.

«Ma io abito con la mia famiglia, non posso abbandonarla in questo modo, e poi non conosco nè te nè il fratello di cui tanto parli. Mi dispiace tanto, ma me ne devo proprio andare.» passarono alcuni secondi, se non minuti, dove esaminai al meglio il salotto, poi mi risvegliai da quel piccolo stato di trance e affermai: «Bhè allora, io vado» Mi incamminai verso la porta e la tirai verso di me. Provaianchr a spingerla in avanti, ma sempre lo stesso risultato. Voltandomi, ritrovai Ethan, con lo stesso sorriso stampato sulla faccia. «Ehm, io dovrei andare. Potresti darmi una mano? Invece di stare lì a sorridere come un cretino?»

«Chi è il cretino?» era spuntato accanto a me, senza che me ne accorgessi. Un sussulto mi uscì dalla gola. Era troppo vicino, e il suo alito sapeva di... un qualcosa che avevo già sentito prima. «Non vuoi davvero sapere chi è mio fratello?»

«No grazie, voglio solo andarmene da qui.» affermai decisa.

«Bene», con un movimento circolare della mano, fece sì che le porte a cui ero appoggiata si spalancassero. Caddi in avanti, ma prima di toccare terra, un braccio mi prese per la vita, tirandomi su. Il braccio, mi fece voltare, verso il corpo a cui era attaccato. E mi ritrovai davanti alla faccia Brad. «C-che ci fai qui?» balbettò incredulo, guardandomi.

«Che ci fai tu!» sbottai io, staccandomi da lui. Vedendo che non avrebbe proferito parola, parlai: «Mi ci ha portato Ethan.» affermai puntando un dito dietro la schiena. «È pazzo.» sussurrai. «Ha..ha ucciso Jusy.» mi si incrinò la voce al nome di lei.

Prendendomi per un braccio, e senza dire una parola, Brad, mi riportò dentro quelle quattro mura, chiudendosi le porte alle sue spalle. «Ethan, che hai fatto?!» domandò urlando. Mentre loro bisticciavano, cercai invano di riaprire la porta. Ma come si fa?  Mi aiutai anche con i piedi. Alla fine mi arresi, fissandoli.

Stavano parlando a bassa voce, ma io li sentivo. Parlavano di me, Jusy e.. l'ultima frase non la capii. Dopo poco, si voltarono entrambi verso di me. Altezza uguale; corporatura uguale; occhi identici. Mio fratello.. le parole di Ethan mi risuonavano nell'anticamera del cervello. «Emily, è meglio se ti siedi.» affermò Brad.
Non ci casco. «No. Voglio tornarmene a casa mia. Voglio andare dai miei genitori.» Ethan sbuffò, mentre Brad continuava a fissarmi con il volto indecifrabile. «Perché mi avete portato qui? Perché mi avete fatto assistere alla morte della mia..amica?» la voce mi si stava incrinando mano a mano che proseguivo, come gli occhi si riempivano di lacrime. «Voglio andare a casa.» ripetei.
«Ma è questa la tua casa ora.» affermò Ethan spalancando le braccia con fare teatrale.
«Grazie per la proposta, ma rifiuto l'offerta.» a quelle parole, Ethan cambiò di colpo. Sembrava quasi nervoso. Iniziò a camminare avanti e indietro, mentre si grattava i capelli e mi lanciava occhiatine.
«Piccola mocciosetta.» affermò. «Non mi interessa chi sei o cosa diventerai, tu rimarrai qui e non dirai una parola.» si avvicinò talmente, che le nostre labbra si sarebbero potute sfiorare da un momento all'altro.
«Tu non sei nessuno Ethan.» cercai di non far tremare la voce. «Quindi, ora ritorno a casa mia e non dirò nulla a nessuno. Okay?» una risata che mi fece accapponare la pelle, mi spinse ad alzare lo sguardo. Ethan si stava sbellicando dalle risate, poi asciugandosi le lacrime con fare teatrale disse: «Non puoi tornare a casa tua. Dovrai restare qui. Senza se e senza ma.» detto questo mi prese sulla sua spalla, e iniziò a salire alcune scale. Scalcia, gli tirai pugni dietro la schiena, ma non si smosse. L'ultima cosa che vidi fu Brad, che fissava il pavimento.

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