Capitolo 4

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«Dannazione!», ruggii al soffitto della stanza da letto, illuminato dai fari della macchina di un altro dei partecipanti alla festa. La musica e le voci che provenivano dalla casa accanto mi provocarono una specie di déjà vu. Mi ero beatamente dimenticata dei turbolenti party che dava Haechan. Le costanti vibrazioni dei motori su di giri e le urla delle ragazze – non di piacere, sperai – rimbombavano da due ore e non accennavano a diminuire. Ogni nuovo rumore mi faceva irrigidire i muscoli.

Lanciai di nuovo un’occhiata all’orologio sul mio comodino, desiderando che smettesse di ticchettare. Era passata mezzanotte e io dovevo svegliarmi alle cinque per andare all’allenamento settimanale di una squadra di runners. Certo, per svegliarmi avrei prima di tutto dovuto addormentarmi. E non sarebbe successo se non fossi intervenuta in qualche modo.

Le parole di Mina mi riecheggiarono in mente. Forse era arrivato il momento di reagire. Non c’era alcuna possibilità che Haechan abbassasse la musica se glielo avessi chiesto, ma la mia anima diplomatica mi suggerì di fare comunque un tentativo.

La “vecchia Hana” se ne sarebbe rimasta distesa a letto, sveglia, per tutta la notte, troppo intimidita da quel prepotente per chiedergli di abbassare. Ma quella sera la fatica fisica e la stanchezza avevano eliminato ogni briciolo di pazienza.

Forse, solo forse, Haechan avrebbe smesso di fare lo stronzo attaccabrighe e sarebbe venuto a capo di qualsiasi problema avesse con me. Sperare non era un reato.

Faceva un po’ freddo, quindi uscii fuori dal mio lettuccio caldo di malavoglia. Gettai via le coperte prima di avere la tentazione di rinfilarmici sotto, misi ai piedi le sneakers nere e indossai una felpa, anch’essa nera, sulla canottiera di raso bianca, e i miei pantaloncini del pigiama preferiti, a righe bianche e blu. Avevo i capelli sciolti e non ero truccata. Avrei potuto avere un aspetto migliore e probabilmente sarebbe stato meglio se mi fossi messa degli shorts più decenti, ma non mi importava.

Ero troppo stanca, per cui scesi le scale e varcai la porta di casa così com’ero. Non so se fu per via della calda serata d’agosto o per colpa dei miei nervi, ma dovetti arrotolarmi le maniche della felpa quando lasciai il mio cortile e mi trascinai nel suo.

Il prato era zeppo di persone che non conoscevo, e i battiti del mio cuore rallentarono un po’ quando mi resi conto che sarebbero stati in pochi a sapere chi fossi. Tra gli amici di Haechan c’era gente di altre scuole, del college e persino maggiorenni con un passato discutibile. Comunque, erano già tutti così ubriachi che non si accorsero di me.

Dentro casa, la musica era davvero fastidiosamente alta. Alcuni ballavano in soggiorno, o meglio, alcune ragazze che sembravano delle puttane lasciavano che i maschi si strusciassero su di loro, mentre altri se ne stavano seduti o in piedi sparsi per il pianterreno a chiacchierare, bere e fumare. Arricciai il naso per via di quel puzzo di gioventù depravata… ma, dovetti ammetterlo, sembrava che gli invitati fossero persone “normali” che si stavano solo divertendo. Era ufficiale. Ero io quella retrograda.

Gli Chevelle cominciarono a pompare dalle casse che parevano essere state sistemate in ogni stanza. Hats Off to the Bull mi fece pensare che dopotutto era valsa la pena di andare. Entrai in cucina a cercare Haechan e mi bloccai immediatamente. C’era diversa gente che si aggirava tra un fusto di birra e altre bevande più forti esposte sull’isola ma fu la vista di Jaemin, seduto al tavolo a giocare a uno di quei giochi in cui si finisce sempre per bere, a mettermi in guardia. Era con altri ragazzi e un paio di ragazze. Troppo tardi per fare dietro-front.

«Che cazzo ci fai qui?». Saltò su dalla sedia e mi venne incontro. Aveva un sorriso di plastica stampato in faccia. Un sorriso di pura circostanza. Sapevo che si sarebbe goduto qualsiasi spettacolo si fosse tenuto quella sera. E io ne sarei stata la protagonista.

BULLY / HaechanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora