capitolo 16

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«Mmm... cosa bolle in pentola?», strillai, non appena aprii la porta di casa. Non vedevo l'ora di buttarmi a letto, ma avevo deciso di stamparmi un sorriso in faccia per dare il benvenuto a mia nonna. Mi era mancata. E poi avevo l'egoistico bisogno di ricordare a me stessa di essere una brava persona. Dopo quello che avevo detto ad Haechan, non avevo molta voglia di guardarmi allo specchio. 

Il profumo si sentiva dall'ingresso. L'appetitoso odore della salsa e della carne mi avvolse e mi coccolò ancor prima che avessi il tempo di chiudere la porta.

«Ciao, tesoro!». La nonna arrivò a passo di danza dalla cucina e mi strinse tra le braccia. Mi erano mancati i suoi abbracci profumati, l'anno che ero stata via. Lacca per capelli, mista a crema e profumo e all'odore della pelle della sua cintura e delle scarpe: era quello per me il profumo di "casa". Dopo che mia madre era morta, mi ero molto avvicinata a mia nonna.

«Oh, mi ero dimenticata di essere un tesoro! Papà mi chiama "gioia". Com'è che avete questa mania per le cose preziose quando si tratta di rivolgervi agli altri?», la stuzzicai, ben sapendo che tutti quei vezzeggiativi erano solo un modo di dimostrarmi affetto.

«Be', non vorrai mica negare a una signora anziana il diritto di chiamarti come vuole». Mi stampò un bacio con lo schiocco sulla guancia.

«Nonna, tu sei più giovane dentro di quanto non sia io». Poggiai la borsa e incrociai le braccia.

«L'unica cosa da anziana che fai è ascoltare un certo tipo di musica». Inarcai un sopracciglio.

«I Beatles sono eterni. E poi tutte quelle urla non possono certo definirsi "musica"». Alzai gli occhi al cielo e lei mi prese a braccetto e mi condusse in cucina.

Mia nonna è figlia degli anni Cinquanta – autoritaria e precisina – ma è in parte cresciuta all'epoca delle contestazione sessantottine. Il desiderio di essere parte attiva ed esplorare il mondo l'hanno spinta a viaggiare. Quando è venuta a sapere che avrei trascorso un anno in Francia, era persino più emozionata di me. "L'esperienza è la migliore maestra". L'eco delle sue parole mi seguiva dovunque.

Aveva poco più di sessant'anni, ma sembrava più giovane. I capelli erano castano chiaro spruzzati di grigio e di solito li portava lunghi sulle spalle. Mangiava roba sana e faceva esercizio fisico, quindi era in forma, allegra e piena di energia. Aveva uno stile eclettico. L'avevo persino vista con indosso i pantaloni del tailleur e una maglietta dei Rolling Stones

«Allora? Com'è andata a scuola?». Prese un cespo di lattuga e si mise a pulirlo nel lavandino.

«Bene». Il mio letto era troppo lontano ed ero troppo stanca persino per prendere in considerazione l'idea di dirle la verità. Mi fulminò con lo sguardo e chiuse l'acqua.

«Che c'è che non va?», mi chiese con voce nasale. Niente da fare, quella donna mi conosceva troppo bene.

«Niente. Ti ho detto che va tutto bene». Ti prego, lasciami sola. Lei strinse gli occhi.

«Quando sei di buonumore, mi racconti tutto: i compiti per casa, il club di scienze, la Francia, il cross country...».

«Sto benissimo», la interruppi, passandomi una mano sulla fronte. «È stata una brutta giornata. Mi sono svegliata tardi e mi sono alzata con il piede sbagliato. Tu a che ora sei arrivata?». Inarcò un sopracciglio perfettamente curato al mio repentino cambio di argomento, ma lasciò correre.

«Verso mezzogiorno, più o meno. Speravo di far prima perché volevo dare una pulita in giro e mandare qualche lavatrice...». Fece un cenno con la mano.

«Ma sembra che tu abbia tutto sotto controllo».

«Be', ho avuto degli ottimi insegnanti. Non che non sia felice che tu sia qui, ma non c'era davvero bisogno che ti preoccupassi. Me la cavo alla grande».

BULLY / HaechanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora