Capitolo 10

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«Ma che...». Le gambe mi tremavano. Era per via delle vibrazioni provocate dalla porta che aveva sbattuto o era la paura? Scattai su, afferrai la mazza da baseball che tenevo sotto il letto e corsi fuori dalla stanza. Non avevo alcuna intenzione di scendere di sotto, anche se era lì che avevo stupidamente lasciato la pistola. Avevo solo bisogno di sbirciare oltre il corrimano per vedere se qualcuno si era davvero introdotto a casa mia.

Scorsi Haechan, a torso nudo, che girava l'angolo dell'ingresso e saliva su per le scale e il mio corpo reagì all'istante. Era decisamente arrabbiato e pronto a uccidere, a giudicare dal suo incedere.

Tornai di corsa nella mia stanza e mi lasciai sfuggire un'imprecazione, mentre mi fiondavo alla portafinestra per cercare di scappare da lì. Non sapevo quali fossero i piani di Haechan né se era il caso di aver paura di lui, tuttavia ero terrorizzata. Aveva fatto irruzione in casa mia e la cosa mi spaventava parecchio.

«Oh no, non cercare di scappare». Haechan entrò in camera e la maniglia andò a sbattere contro il muro, probabilmente scalfendone l'intonaco. Non avevo alcuna possibilità. Mi voltai per affrontarlo, alzando la mazza. Lui me la strappò di mano prima che avessi il tempo di caricare il colpo.

«Vattene! Sei impazzito?». Cercai di girargli intorno per raggiungere la porta della stanza, ma Haechan mi tagliò la strada. Non mi sarei sorpresa se avesse provato a strangolarmi, a giudicare dallo sguardo che aveva. Sembrava che da un momento all'altro gli sarebbe uscito del fumo dal naso.

«Hai staccato la luce a casa mia». Gli fremevano le narici. Era a un passo da me e mi guardava dall'alto in basso.

«Dimostralo». Il mio cuore si era messo a ballare il tip tap. Anzi un paso doble. Lui inclinò il capo, e un sorriso pericoloso gli si dipinse in volto.

«Come hai fatto a entrare a casa mia? Chiamerò la polizia!». Di nuovo, pensai. Non che ne avessi tratto un qualche beneficio quando l'avevo denunciato per disturbo della quiete pubblica. Forse se mi avesse ammazzato si sarebbero fatti vivi?

«Ho la chiave», disse, lentamente e in tono minaccioso.

«Hai la chiave di casa mia?». Dal momento che aveva le chiavi, non ero sicura che avrei potuto chiamare la polizia.

«Tu e tuo padre siete stati in Europa», rispose sogghignando. «Chi credi che abbia preso la posta?». Haechan aveva ritirato la nostra posta? Mi veniva quasi da ridere. L'ironia del fatto che lui si fosse occupato di qualcosa di tanto banale mi tranquillizzò un po'.

«Tuo padre si fida di me», continuò.

«Non dovrebbe». Strinsi i denti. Mio padre e mia nonna ne sapevano davvero poco di Haechan e del rapporto che aveva con me. Se si fossero resi conto di quanto si erano messe male le cose, ne avrebbero parlato con sua madre. Ma io non ero una frignona e non volevo essere compatita.

Mi feriva pensare che Haechan era carino con mio padre e un mostro con me.

«Vattene», sibilai. Lui mi venne incontro, costringendomi a retrocedere verso la portafinestra.

«Sei una stronza ficcanaso, Han-Iana. Tieni il tuo fottuto culo nel cortile di casa tua».

«Tenere svegli i vicini li rende irritabili», ribattei io. Incrociai le braccia sul petto e lui piantò le mani sul muro ai lati della mia testa. Non capii se era per via dell'adrenalina o di tanta vicinanza, ma ero terribilmente nervosa. Sembrava un regolamento di conti. Mi sforzai di non guardarlo negli occhi. Il tatuaggio che aveva sul braccio non era a colori. Era una lanterna accesa, e mi chiesi che cosa significasse. I suoi addominali erano contratti per la tensione, o almeno speravo che non fossero sempre tanto rigidi. L'altro tatuaggio, quello che aveva su un pettorale, era una scritta impossibile da decifrare a una luce tanto fioca. La sua pelle sembrava così liscia e... Sospirai cercando di ignorare la sensazione di formicolio che si era impossessata di me.

BULLY / HaechanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora