Capitolo 14

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La mattina dopo un beep del computer mi segnalò che c'era una chiamata in arrivo.

«Ehi, papà», sbadigliai assonnata, quando risposi.

«Buongiorno, gioia. Pare proprio che ti abbia svegliato? Avevi intenzione di restare a dormire stamattina?». Sembrava preoccupato. Lanciai un'occhiata all'orologio del pc e vidi che erano le sei e mezza.

«Dannazione!». Gettai via le coperte e mi fiondai verso l'armadio.

«Papà, posso chiamarti stasera quando torno? Dovrei essere al laboratorio tra mezz'ora». Il martedì e il giovedì erano i giorni in cui il dottor Doyoung, il mio mentore e insegnante di Chimica dell'ultimo anno, era più libero, quindi avevo deciso di andare in laboratorio per fare qualche ricerca extra per la fiera di scienze.

«Sì, certo, ma per me potrebbe essere un po' tardi... o presto. Senti, ti volevo dire solo che stasera dovrebbe venire a trovarti tua nonna». Feci capolino dall'armadio e trattenni un gemito.

«Papà, pensi di non poterti fidare di me? Me la sono cavata benissimo finora».

In realtà stavo mentendo. Gli avvenimenti della notte precedente, prima la storia di Mina e poi il pestaggio, mi tornarono alla memoria di colpo e mi fecero venire voglia di prendere a pugni qualcosa.

«Certo che mi fido di te, ma tua nonna no...». Scoppiò a ridere. «Dice di voler venire per qualche giorno, magari una settimana, a darti una mano. Sei ancora minorenne dopotutto, e lei non fa che guardare trasmissioni in TV che dicono quanto la vita al giorno d'oggi sia diventata pericolosa. Si preoccupa, tutto qui».

Mio padre e sua madre detestavano l'idea che vivessi praticamente da sola per tre mesi, ma il mio desiderio di non cambiare scuola all'ultimo anno aveva avuto la meglio sulla loro ansia.

Mi infilai un paio di jeans aderenti e una maglia stretta a maniche lunghe viola e uscii dalla cabina armadio.

«Capisco che è solo per farla stare più tranquilla, ma come vedi io me la cavo alla grande», sospirai.

«Non sono nemmeno molto sicuro di cosa dice la legge a proposito. Non ti sei cacciata nei guai, vero?». Strinse gli occhi, mentre io calzavo un paio di ballerine nere.

Mio padre era un tipo per lo più sereno, ma cercare di fare il genitore dalla Germania stava cominciando a dargli fastidio. Quella era la settima volta che parlavamo nelle ultime due settimane. Considerato il fuso orario, un successo.

«Certo che no». Quasi mi strozzai. Se correre fuori di casa pronta a sparare a dei criminali poteva definirsi "non cacciarsi nei guai"...

«E comunque tra una quindicina di giorni farò diciott'anni. E non sarò più minorenne».

«Lo so», sospirò lui.

«Ok, ti lascio andare. Cerca di essere a casa per cena stasera, visto che arriverà tua nonna».

«Sissignore. Ci sentiamo domani mattina, ok?»

«Certo. Buona giornata, tesoro». E riattaccò.

La barretta e il succo di frutta che afferrai prima di uscire di casa mi bastarono giusto per il tempo che trascorsi in laboratorio e al suono della prima campanella avevo già di nuovo i morsi della fame. Tra l'altro Mina non si era fatta viva, né mi aveva scritto, quindi scesi giù per le scale abbattuta per raggiungere il bar e prendere qualcosa alla macchinetta prima di entrare in aula.

Quella mattina ero presa e compresa da tutt'altro. Il giorno prima mi ero dimenticata di passare dal ferramenta a prendere dei pezzi che mi servivano, quindi riuscii a concludere ben poco.

BULLY / HaechanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora