capitolo 36

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Andai in camera, i vestiti che avrei dovuto indossare erano già sul mio letto mancavo solo io, appena pronto scesi.

<ti ci è voluto così tanto per prepararti> scherzava, mi faceva male letteralmente tutto, è un miracolo che sia riuscita a scendere le scale

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<ti ci è voluto così tanto per prepararti> scherzava, mi faceva male letteralmente tutto, è un miracolo che sia riuscita a scendere le scale.

<sai in queste condizioni, non è che potessi fare più veloce>

appena arrivai da lui comincia già a stuzzicarmi, baciarmi e cercare di invogliarmi a concedermi a lui, non mi sarei mai opposto, ripeto, era ed è abitudine; dopo aver concluso gli ricordo che sarei dovuto andare ad incontrare con gli altri per una riunione di lavoro al bar vicino alla caserma. Cominciò ad urlarmi contro, sbattere le porte del suo armadio, lanciare i libri a terra, ricordo esattamente quando dopo aver distrutto la sua stanza mi afferrò per il collo, mi attaccò alla parete, e puntò i suoi occhi azzurri contro di me, dicendo stringendo i denti

<tu sei mio e solo mio, quindi ora scegli, o me o i tuoi finti amici>

Dovetti inventare mille scuse per spiegare agli altri il perché non li avessimo raggiunti

Dopo avermi fatto capire che quelli erano solo ed esclusivamente colleghi di lavoro e non amici,  cominciò a criticare il mio aspetto fisico: per lui ero troppo grasso, se mi curavo troppo non andava bene perché altri ragazzi o ragazze mi avrebbero notato, invece, se mi curavo troppo poco si sarebbe vergognato ad uscire con me.

dopo che la riunione in teoria era finita iniziava il mio turno, mi prese solo il polso e salimmo in macchina, nessuno dei due fiatò per tutto il viaggio. Eravamo arrivati Aaron mi aprii la porta dell'auto porgendomi la mano, gliela porsi e mi sussurrò

<comportati bene, conosci le conseguenze> oh si le conoscevo e come.

al lavoro andò tutti bene, nessuno si fece domande sul perchè mi vestivo pesante e coperto quindi questo mi portò a pensare che non facevano molto caso a me, mi tiravano solo alcune occhiatacce.

era la sera prima del compleanno di Aaron e così andammo in un ristorante, ordinai la mia classica aragosta accompagnata da fritto di mare; cominciai a mangiare, lui continuava a fissarmi, e dalla sua bocca uscirono esattamente queste parole

<non ti lamentare se ingrassi, dio santo mangi come un bue>

Passai l'intera serata nel bagno del ristorante a piangere, e quando usci scoprii di avere il conto di entrambi da pagare e lui era sparito, guardai il telefono e c'era un messaggio da parte di Aaron

avevi da fare meno il bambino
Da Aaron per Buck

quando lui stesso sa che i miei genitori in quel periodo avevano gravi problemi economici, e sapeva perfettamente che farmi pagare un conto per due in uno dei ristoranti più costosi della città per me sarebbe stato difficile da digerire.

Voi penserete che sia finita qui, ma più passavano i mesi e più la situazione peggiorava.

Aaron cominciò a farmi sentire letteralmente a disagio, ogni cosa che dicevo o facevo per lui era sbagliata.

se scherzavo o ridevo con i suoi amici dovevo smetterla, perché sembrava che provassi interesse per loro o che volessi farlo ingelosire, ma quando lui voleva conoscere qualche mio amica o amica ero letteralmente obbligato a presentarglieli.

Vogliamo aggiungere i ricatti e le minacce?

Non potevo permettermi di fare qualcosa che andasse contro ad una sua idea o sua scelta, se la 118 mi chiedeva di uscire con loro, lui si presentava il giorno prima chiedendomi ovviamente di uscire insieme a lui è lì dovevo uscire con lui senza fare domande, e dopo un po' mi arresi.

<comportati bene, conosci le conseguenze> come sempre solita frase prima di scendere dalla macchina e andare al lavoro.

<mi comporterò bene ad un patto> fu incuriosito da ciò che detti anche infastidito. Lui non amava negoziare in generale pensate con me.

<che cosa vuoi?> nel frattempo ci eravamo diretti verso l'interno, stare fermi lì avrebbe attirato solo l'attenzione.

<appena torneremo a casa tu chiamerai il dottore, a malapena mi reggo Aaron> alzò gli occhi al celo, ma non mi importava ne avevo bisogno avevo già ingoiato cinque antidolorifici in una mattinata, non è una cosa intelligente da fare, a me no che l'intento fosse la morte, ma faceva male.

<D'accordo> aveva accettato la mia proposta, davvero, mi sentivo invincibile.

<Aaron> mi guardò infastidito

<devo andare in bagno torno subito, va bene?> gli sussurro all'orecchio senza che nessuno sentisse

<non fare cazzate Evan, non ti conviene> aveva ragione non mi conveniva fare cazzate, mi diressi verso il bagno, mi faceva troppo male e l'antidolorifico non stava facendo più effetto

entrai nel bagno, misi le mani sul lavandino cercando di sorreggermi con l'aiuto del lavandino, mi guardai allo specchio ero pallido, non mi stupirei se qualcuno se ne fosse accorto, all'interno della tasca dei pantaloni c'era la scatolina con l'antidolorifico, la presi, ne avevo già prese cinque in una mattina, non andava bene, aprii la scatolina e all'interno erano rimaste solo sette pillole, quello che stavo per fare mi avrebbe ucciso di sicuro ma non mi importava, se facendo questo sarei morto, beh meglio per me no?

Odiavo la mia vita è la mia morte non sarebbe importata a nessuno. Guardai le pillole sperando di cambiare idea, ma niente, le presi tutte in un colpo.
Prima che potessi aprire il rubinetto, per sciacquarmi la faccia, entrò qualcuno. Era Eddie.

<se non l'avevi notato è occupato il bagno> non sembrava aver capito, o semplicemente non voleva capire, aprii il rubinetto e mentre si lavava le mani mi fissava con i suoi occhi. Cosa aveva da guardare?
Sembrava interessato a me? Ma che sto dicendo, continuava a fissarmi e io feci lo stesso, non mi accorsi che tra uno sguardo e l'altro indietreggiai come per cadere ma rimasi in piedi si girò e mi si mise di fronte

<stai bene?> sto bene? No certo che no ma non avevo di certo intenzione di dirglielo, così indossai la mia solita maschera, del ragazzo perfetto e senza problemi

<si, certo che sto bene> mi guardava negli occhi, con un'espressione preoccupata.

<ok. il tuo ragazzo ti starà aspettando, ha una cosa importante da dire e presumo che ti voglia subito da lui,>

<ci stavo per andare adesso> fece un semplice cenno con la testa e mi indicò lo strada con la mano, senza toccarmi. Appena arrivato dove c'erano i camion parcheggiato non c'era nessuno

<l'abbiamo fatto accomodare su di sopra, avanti andiamo> era uno scherzo? perché se lo era non mi piaceva, di sicuro non sarei riuscito ad arrivare al piano di sopra tutto intero, a mala pena ci vedevo, avevo quei minuti che vedevo tutto sfocato e i puntini neri e pur sbattendo le palpebre non cambiava niente, lui salì primi due gradini, si fermò e mi guardò mentre ero immerso nei miei pensieri, mi chiedevo come avrei potuto salire quelle maledette scale così com'ero.

Alzai lo sguardo, e lo vidi guardarmi. Salii il primo scalino con fatica, non dissi una parola ero concentrato a salire le scale in modo da non destare sospetti. Lui non fece domande e salì le scale.

<finalmente> lo vidi fare un piccolo sorriso, ma non volevo mettermi nei guai così non aprii bocca, e anche se l'avessi fatto avrei chiesto perché avesse sorriso. Sarebbe stato da stupidi e io non lo ero, almeno in parte. arrivati in cima sentii ridacchiare Aaron insieme agli altri della 118. sentii il battito accelerare a mille

what's your secret Buck? || Evan Buckley Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora