Capitolo XXVIII-Pino silvestre

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Non sapevo chi avesse acceso il fuoco ma apprezzai chiunque avesse fatto quel gesto.
Al mio risveglio, vidi un fuoco acceso, legna che ardeva e scoppiettava all'interno di un piccolo camino nero e nulla parve più bello.

Rimasi a guardare le fiamme che danzavano leste mentre si estendevano verso l'alto e sentii ogni parte del mio corpo rilassarsi a quella vista.
Il viso, rivolto verso di esso, era accaldato come lo era anche il corpo avvolto da una coperta di pile che sapeva di pino.

Desiderai restare coccolata al caldo ancora per molto e tornai a chiudere gli occhi, non pronta al risveglio.

La camera dell'hotel non era mai stata così calda, come non lo era stato il mio corpo ma, ci misi ben poco per rendermi conto di essermi sbagliata e che niente, attorno a me, aveva a che fare con la stanza in cui avevo dormito la notte prima.

Dove sono?
Serrai gli occhi ed alzai il busto mettendomi a sedere.
Era buio, eppure il fuoco era sufficiente per illuminare l'intera zona che si rivelò essere una capanna, o meglio, una piccola e graziosa dependance interamente di legno.

Vicino al camino vi erano tronchi tagliati e arbusti per il fuoco in quantità ridotte, bastanti per tenerlo vivo circa un paio di ore.
Alla mie spalle, nella zona destra, si trovava una cucina con il minimo indispensabile, tra cui, un modesto angolo cottura, un mini frigo e un lavabo.

I mobili, altrettanto di legno, erano chiusi tramite dei lacci mentre altri, semi aperti, lasciavano intravedere delle stoviglie. Segno che qualcuno viveva in quel posto.

Nella parte opposta, invece, vicino alla porta d'ingresso c'erano due poltrone di pelle marrone leggermente rovinate affiancate da un armadio di legno scuro e un'altra porta, anch'essa chiusa.

C'era una libreria incasinata con sopra tutto, tranne che libri. Il numero di libri lo si poteva contare con le dita della mano, mentre ad occupare gli altri scaffali c'erano piante grasse abbastanza piccole da poter entrare in quegli spazi, svariati giornali, vecchie foto di bambini, candele consumate all'interno di contenitori di vetro e altre carte dai fogli giallastri.

Negli ultimi ripiani  partendo dal basso c'erano, invece, due paia di scarponi da montagna e qualche corda.
Attaccato alla libreria, proprio all'angolo della stanza, era stato collocato un orologio a pendolo con un uccellino bianco che, alle diciannove in punto, sbucò fuori cinguettando.

Un tavolo di legno era stato trascinato dinanzi al muro, con insieme le sedie, probabilmente per creare più spazio al centro, la zona in cui ero distesa.

Sotto il mio corpo, qualcuno, aveva pensato di impilare un paio di coperte imbottite, una sopra l'altra, e un sacco a pelo abbastanza comode da rendermi il sonno piacevole.
Come se non bastasse, un'ulteriore coperta di pile era stata adagiata sul mio corpo per tenermi maggiormente al caldo.

Solo allora mi resi conto che le coperte, il caldo rilassante e il fuoco scoppiettante erano stati preparati appositamente per me.

Ero sola e in un posto a me sconosciuto, e sebbene quella dependance mi trasmettesse un'incredibile calma, non ricordavo come fossi finita lì e l'idea che qualcuno avesse visto il mio viso, mi rese nervosa.

Senza pensare al fatto che, attorno alle mie braccia, erano state arrotolate delle garze mediche.
In un contesto diverso, mi sarei solo che sentita felice e appagata di essere curata o accudita da qualcuno ma, nelle mie condizioni, apprezzavo ugualmente, tuttavia, avevo paura.

A peggiorare l'umore fu il vento all'esterno che, a quanto pare, soffiava forte generando un fruscio intenso degli alberi e un ululato acuto, facendo scricchiolare finestre e porte.

Nightfall light [In pausa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora