4. Odiose cene

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Siamo qui sulla terra non per giudicare

ma per apprezzare.

Benoît Rance

James

Dicembre 2011

Sabato pomeriggio

Sono stravaccato sul mio letto con l'intenzione di oziare per il resto della giornata. Ieri sera, dopo un viaggio di circa cinque ore, sono ritornato a casa, in occasione delle festività natalizie.

La trovo una perdita di tempo; odio questa stupida ricorrenza, non mi elettrizza l'idea di mangiare insieme ai miei parenti, dopo che, per un anno intero, non mi hanno mai calcolato.

Non mi interessa, se devo essere onesto. Purtroppo se non assecondo i miei genitori, finirò per litigarci, così ho accettato controvoglia. Non sono il tipo di persona che sa sorridere mettendo da parte i miei rancori, piuttosto preferisco evitare qualsiasi incontro. Questa volta non posso, maledizione.

So che se superano certi limiti, non doso né le parole e né i miei atteggiamenti. I piedi in testa non permetto a nessuno di mettermeli, per troppi anni mi hanno sempre visto come un caso da risolvere.

Nessuno ha mai compreso che volevo solo qualcuno che mi porgesse una mano per risollevarmi dal mio dolore. Combatto contro qualcosa che non si supera con una sgridata o sminuendomi attraverso atteggiamenti denigratori.

All'improvviso suona il cellulare, alzo la testa e lo vedo appoggiato sulla scrivania davanti al letto. Ma che rottura di palle, devo alzarmi per recuperarlo. Sbuffando mi sollevo dal mio splendido materasso e lo prendo.

Sul display compare un nome: madre. Sì, la chiamo così, non sono propenso a utilizzare dei cuoricini o smancerie del genere. Sempre meglio di come ho segnato mio padre: RP, che tradotto significa: rompi palle. Seccato rispondo alla chiamata.

‹‹James, presentati stasera. Per una volta mostra un po' di decoro, d'accordo?›› incomincia mia madre.

‹‹Sì, non l'ho dimenticato. Ci sarò.››

‹‹Anche con la testa. Cerca di comportati bene.››

‹‹Hai paura che ti faccia fare una brutta figura? E se è così, dimmi per quale cavolo di motivo vuoi che ci sia?››

‹‹Fai parte della famiglia, non dovresti nemmeno chiederlo.››

‹‹Quasi mi commuovo.›› Scoppio a ridere fragorosamente, dall'altra parte percepisco sdegno. Io sono fatto così, non cambio. ‹‹Ti saluto, madre.››

Riaggancio prima di ascoltare l'ennesima ramanzina. Non mi lascia il tempo nemmeno di mettere piede nella mia vecchia casa che mi chiama addirittura quando è a lavoro in ospedale.

Il concetto di decoro è sempre stato alla base della mia educazione, peccato che è stato imposto come regola assoluta. 'Sorridi e comportati bene', mi dicono sempre, fin da bambino. A loro, in realtà, interessa come appaio agli altri. Non amano essere etichettati come i genitori di un ragazzo problematico con scatti di rabbia.

Quando supero determinati limiti, non si fermano a capire da cosa scaturisce il mio atteggiamento. Mi gettano in pasto a uno psicologo; sentendomi incompreso, devo trovare il sistema di scaricarmi.

Nonostante cerco di controllarmi tentando in tutti i modi di non far scattare il meccanismo del mio ingranaggio difettoso, ogni volta che mi puntano il dito, perdo il controllo delle mie azioni. Finiscono per farmi sentire come quell'errore irreparabile.

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