1. Una terribile notizia

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La cosa peggiore non è cadere,

bensì non rialzarsi e giacere nella polvere.

Paulo Coelho

Jessica

Febbraio 2019

Il college: l'unica parola che ultimamente martella la mia mente. Me la ricordano tutti, soprattutto quei perfettini e odiosi parenti che, durante le cene, chiedono sempre quando mi decida a intraprendere una strada per il mio futuro.

Mi arrovella il cervello pensare che nessuno di loro abbia il contegno di farsi una bella dose di cazzi propri. Io devo prendere una decisione, non quegli altezzosi con la puzza sotto il naso. Non sono perfetta, ma almeno non mi intrometto; pretendo che si comportino in egual modo nei miei confronti.

Loro non sanno cosa significa alzarsi la mattina e percepire del dolore alle articolazioni.

Loro non sanno cosa significa vivere con l'ansia che io possa peggiorare.

Loro non sanno cosa significa vedere la sofferenza negli occhi della mia famiglia quando riceviamo sempre la stessa risposta.

Non hanno la minima idea di quanto vorrei essere diversa; saltare come una gazzella e divertirmi senza pensare alle conseguenze. Invece, questo è un lusso che non posso concedermi, fino a quando non troveranno una benedetta soluzione al mio problema.

Quindi, se non voglio costruire un percorso che si possa sgretolare da un momento all'altro, sto imparando ad attendere con pazienza, sto cercando di ignorare qualsiasi pettegolezzo e sto tentando di proseguire lungo il mio cammino.

Vorrei mandare direttamente a quel paese quelle persone che, piuttosto che comprendermi, si prendono il lusso di rimproverarmi. A volte mi dicono che non le chiamo mai, tendo ad allontanarmi perchè non meritano il mio rispetto dopo che, invece di esserci, si presentano solo per evitare quella che tutti chiamano "figura di merda".

Ma io la merda vorrei solo spalmargliela in faccia e ridere di gusto. Tuttavia, mi do sempre un contegno; i miei genitori mi hanno dato la giusta educazione, quella che certi individui non sanno nemmeno dove abita.

Amo isolarmi dal mondo esterno costruendone uno tutto mio, non serve esporsi; ci ho provato ma il risultato finale è sempre lo stesso: le persone mi deludono.

Mi trovo nel mio soggiorno stravaccata sul divano, le gambe poggiate sui braccioli, la testa adagiata su un cuscino con un paio di cuffie nere; sono così giganti che coprono le mie piccole orecchie e, scorrendo la playlist, sono alla ricerca di una canzone decente da ascoltare.

Se qualcuno provasse a leggere i nomi dei brani, direbbe che sono una depressa: una ragazza mossa dall'inquietudine che si getta nello sconforto lasciandosi trasportare dalle melodie malinconie.

Eppure ne sono attratta, ritrovo nelle parole degli artisti che trattano temi tristi delle emozioni forti, presto molta attenzione al significato piuttosto che al ritmo. Le canzoni allegre mi annoiano, non mi trasmettono niente.

Nell'aria si percepisce un profumino invitante di frittura di pesce; è quasi mezzogiorno e mia madre sta preparando il pranzo. Lei si chiama Natalie Sommers, ha quarantacinque anni e lavora come segretaria presso una piccola agenzia che si occupa di viaggi.

Ha dei folti capelli castani ondulati che spesso non lega, sistemarli con una coda le provoca del mal di testa, così d'estate usa solo una pinza per raccoglierli. È sempre stata strana, ma non mi meraviglio più di tanto perché tra me, mia sorella e mia madre, non so chi sia messa peggio.

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