5. Una luce in mezzo al buio

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Spesso s'incontra il proprio destino

nella via che s'era presa per evitarlo.
Jean de La Fontaine

Jessica

Marzo 2019

Queste settimane stanno trascorrendo troppo lentamente e, non sapere se mia sorella possa tornare a ridere e scherzare come facevamo da piccole, sta iniziando a consumarmi dentro. 

Per tutta la vita lotto contro qualcosa più forte di me e ho imparato a conviverci, però se si tratta degli altri, percepisco nel petto un'ansia penetrante; è come se mille spade mi avessero trafitto facendo sanguinare la mia anima. 

Anche se litighiamo sempre, non sopporterei l'idea di non vederla più quella di prima. Sono triste e non riesco a trovare nessun modo per risollevare l'umore. Vorrei dire a mio padre come mi sento, ma evito; sta già male, non voglio dargli un ulteriore peso. 

Mi ritrovo qui, seduta su una sedia con il viso fisso sul pavimento, nel corridoio spento di questo maledetto ospedale, lo potrei definire la mia seconda casa; passo più tempo tra queste mura piuttosto che nella mia camera. 

Non ha nulla di speciale, le pareti sono bianche come il soffitto e il pavimento è di un grigio spento. Ho gli occhi lucidi, tento di evitare di piangere, non mi piace mostrarmi fragile. Tuttavia, non riesco a trattenermi. 

Una lacrima scorre lunga la guancia e ricade sulle mie mani che sono poggiate sopra i miei jeans azzurri scoloriti. Continuo a chiedermi perché tra le due, lei che è la più dolce, è stata colpita da una sofferenza maggiore della mia. 

È odioso il fato che si bea nel muovere i fili e decide la sorte di noi poveri mortali. Taylor è quell'anima delicata che ha bisogno di essere accudita, non spinta verso il baratro. Ho così tanta paura di cosa le possa accadere che, difficilmente, riuscirò a dormire fino a quando non apre quei suoi occhi. 

La voce della ragione mi martella in testa suggerendomi: "Basta Jessica. Piangersi addosso non ti restituirà niente".  Non perde l'occasione di tormentarmi quando sono sull'orlo di esplodere. 

Continuo a tenere basso lo sguardo, cercando in qualche modo di evitare che gli altri mostrino interesse nei miei confronti. Dei passi si avvicinano nella mia direzione; non ho voglia di parlare con nessuno. Alzo la testa intenzionata a offendere quella persona così da farla andare via e rimanere sola con i miei pensieri. 

Gli occhi adornati da sfumature verdi e marroni della persona che incontro, mi destabilizzano. Afferrano il mio stomaco facendolo contorcere fino a metterlo a soqquadro. Riprovo la stessa strana sensazione del primo giorno che l'ho incontrato. 

'No, non ne sono attratta. L'ho giurato a me stessa di evitare di ricaderci ancora un'altra volta.'

‹‹Hey uragano. Buongiorno.›› Nathan sorride in modo raggiante e, quasi, provo sollievo. 

'È normale?'

‹‹Ciao Nathan.›› Non so cos'altro possa dirgli.

‹‹Posso sedermi accanto a te?›› Con il cenno del capo acconsento.

Si avvicina a me, forse fin troppo. Non capisco cosa diavolo voglia fare in mezzo a un corridoio di ospedale, fino a quando mi accorgo che con l'indice mi sta togliendo una ciglia. È un atteggiamento molto intimo, mi sposto in modo istintivo.

‹‹Scusa... ecco, se ti finiva nell'occhio poteva darti fastidio.›› Mi dice in modo timido, quasi sentisse di avere esagerato.

‹‹Tranquillo, grazie.›› Gli dico sforzandomi di nascondere il disagio dietro un finto sorriso.

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