Ultimamente provo disgusto per tutto. Ho solo l'imbarazzo della scelta. Ad esempio mi fa schifo chi maltratta gli animali. Mangiare capretti, conigli e cavalli. Il mal di pancia durante il ciclo e Samuele che si diverte con Daniele a mettere le mani addosso ai ragazzini in corridoio o durante la ricreazione. Queste cose mi fanno vomitare, ma un conto è averne la consapevolezza e un altro trovare il coraggio e il modo di rappresentarle.
Ma non potevo starmene zitta?
Comunque alla fine la signora Rosa si offre di darmi un passaggio fino a casa. Durante il tragitto le domando qual è la cosa che più in assoluto la disgusta e lei mi risponde dicendo: «la paura di arrivare a fine mese senza soldi e non poter dare da mangiare alle mie bimbe.»
La guardo, stupita e dispiaciuta, e anche se non ho colpe, responsabile per quello che subisce ogni giorno a scuola. «Non badare a quei cretini, Rosa. Davvero, tu...»
«Non mi interessa, sul serio piccola. Sai, crescendo, le priorità di una persona cambiano e quello che mi faceva male alla tua età, adesso mi scivola addosso come olio. Finché non toccano le mie bambine, io sono la donna più serena al mondo»
«Mmh...» Mi volto a guardare fuori dal finestrino. La panda gialla di Rosa scorre sull'asfalto grigio all'ora di punta e io mi sento malinconica e al tempo stesso stranamente in pace col mondo. Vorrei poter viaggiare per altre dieci ore, e per altre dieci ore perdermi nei miei pensieri, fissare il mondo che si risveglia dopo la tempesta, leccarmi le ferite, respirare e realizzare che nonostante tutto sono ancora qui. Qui ad abbassare il finestrino e a sentire il vento sbattermi in faccia, l'odore della terra penetrarmi le narici.
«Ma piuttosto tu, piccola» Rosa richiama la mia attenzione. «Sai... ti ho osservata a ricreazione. Sei diversa. Cosa ti succede?»
Ci rifletto un attimo. Faccio spallucce e la guardo con un sorriso stanco, arrendevole. «Credo di volermene rimanere un po' da sola. Anche se in realtà ho una gran voglia di parlare. Ma è come se... non ci riuscissi. Qualcosa mi frena. Dici che è un male?»
«Non per forza. A te fa stare male?»
«Devo capire. Ma più che altro credo che faccia stare male a chi mi circonda»
«Questo è il momento di pensare a te stessa. Arriverà il momento in cui dovrai pensare agli altri. E non è questo, te lo assicuro. A volte allontanarsi non è una scelta, ma una necessità per ritrovarsi»
«Quindi dici che è normale allontanarsi un po' dagli altri? Prima o poi mi passerà e ritornerò normale?»
«Non c'è nulla di sbagliato nel voler stare da soli, naturalmente finché non diventa una prigione da cui non riesci più a uscire. E tu sei normalissima. Mia zia colombiana diceva sempre: "vera forza sta nel trovare eqilibrio tra bisogno di isolarsi e capacìta di lasciarsi avvicinare". Riparti da qui, da quelle persone da cui vale la pena lasciarsi avvicinare. Sono sicura che ci sono.»
Rosa ricambia il mio sorriso, e quando arrivo a casa, mentre vado a prendere Andrea dalla vicina e cucino il pollo scongelato da mamma, mi pento di non averle chiesto se il mio -quello di stamattina- le ha migliorato la giornata. Il suo, per me, è stato un toccasana.
Nonna Lucia una volta mi ha detto che dare senza aspettarsi nulla in cambio ci rende liberi, è un modo per far fluire una parte di sé nel mondo. Ma che la vera forza si scopre nel saper ricevere, nell'accogliere un gesto, un dono o una parola. Nel capire che in questo intreccio di vite, in fondo, nessuno è davvero solo. Che il dare crea fili sottili, ma che è il saper ricevere a renderli indistruttibili.
Accidentalmente mi cade qualcosa di verde dentro il tegame e mentre pranziamo, Andrea si mette a fare storie.
«Lù, ma che roba è?» fa finta di avere un conato di vomito e arriccia il naso come se avesse visto un insetto. «Bleah! Che schifo»
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
General Fiction© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...