Capitolo 2: ''La curiosità uccise il gatto...''

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Esco da quella stanza stordita da ciò che era appena accaduto. Mi incammino verso la porta dell'università senza neanche guardarla, pensando e ripensando. E ancora una volta, ripensando. Arrivo alla bicicletta, tolgo il catenaccio che avevo inserito, ed inizio a pedalare. Perché mi sento così? Non riesco a trovare una spiegazione ai miei sentimenti, sento come se il cuore mi esplodesse in corpo, una vibrazione che mi tiene sulle spine, come non avessi possibilità di fuggire via, mi chiedo se ogni giorno sarà così. Mentre penso, inizia a piovere. Classico. Corro più veloce per trovare un riparo, un piccolo ponte. Per fortuna sono riuscita a fermarmi, proprio adesso che stava iniziando a piovere sempre più forte, affianco a me, si ferma una moto, con un uomo ed una donna dietro che lo stringe forte, nonostante si fosse fermato, entrambi con il casco integrale. Cerco di non notare il fatto che l'uomo continuava a fissarmi, la donna aveva un corpo molto sinuoso, indossava dei tacchi a spillo, forse inadatti a quel clima un po' uggioso, ma evidentemente le aspettava una giornata galante, qualcosa di importante. Mi chiedo se anche lei avesse notato il suo interesse nel guardare una bicicletta mezzo rotta ed una ragazza bagnata fradicia. Aspettiamo il tempo che spiove, mentre scorro le notifiche sul cellulare, chiamo mia nonna, anche lei si chiama come me, e soffre leggermente di alzhaimer. 

"Nonna?" dico al telefono. - "Nonna, sono Aurora, mi senti?" continuo. "Arrivo tardi per pranzo, inizia a mettere l'acqua sul fuoco" silenzio per qualche istante, potevo sentire dei bisbigli da lontano di quella donna e quasi una risata da quell'uomo, come se non avessero mai avuto dei genitori o dei nonni. "Non preoccuparti, scegli quale preferisci, basta che non sia con le rose! Lo hai già bevuto troppe volte!" esclamo, e ripeto due volte "Troppe volte", non sembrava riuscisse a sentire tutto al cellulare. Mia nonna, Aurora, ha 88 anni ed è un vero portento per la sua età, peccato per la sua disabilità, non può muovere il braccio destro. Lei era una sarta, e non riuscire più a muovere un arto fondamentale nel suo lavoro, l'ha resa molto fragile, ed io ho promesso di stare accanto a lei, sempre, fino alla fine dei suoi giorni, le voglio un bene così profondo, da quando i miei genitori sono andati via, lei è stata l'unica persona nella mia vita. 

Nel frattempo, sembra aver spiovuto, ma il tempo continua a minacciare, mentre poso via il telefono, la moto che ormai era più avanti, tira un ruggito e fugge via. 

Pedalo ancora verso casa, e poso la bicicletta fuori al mio viale. Entro dentro e finalmente sembra di aver chiuso tutta la giornata fuori da quelle quattro mura. Mi tolgo le scarpe, vado in cucina a prendere dell'acqua allo zenzero e lime, prendo il cellulare per guardare l'orario e trovo almeno una ventina di messaggi sul gruppo, apro il gruppo e mi trovo diversi screenshot.

"L'ho trovato su Instagram!" dice Aria.

"Io l'ho trovato su Facebook, dice che è sposato." continua Vittorio.

Deglutisco molto forte. 

Rispondo sul gruppo un semplice "Ossessionati" e chiudo il telefono, nel vero senso della parola. Tolgo internet, così da non leggere nulla. Ma questo dura per pochi secondi, la mia curiosità è troppo forte. Controllo Facebook, scrivo il suo nome, ed ecco che appare come primo risultato "Diego Natale", ha diversi master in giro per il mondo: Parigi, Londra, Vienna, e conosceva tutte le lingue dei posti che visitava, oltre naturalmente all'inglese, è una pozzo di conoscenza. Continuo a scorrere le sue foto, trovandone diverse con altri insegnanti - anche della mia facoltà alla triennale - ma in particolare mi focalizzo sulla donna nelle sue foto. Una bellissima donna, con un sorriso smagliante, un corpo spaziale e degli occhi vitrei. Una donna adatta ad un uomo così affascinante, eppure sembra che l'apparenza sia tutto per lei. Entro sul profilo della donna, non ha una foto con lui. E' sempre da sola, in molte pose, anche un po' spinte a parer mio, ma nessuna con Diego. Dove sei? Sembrate così diversi, eppure vi lega un matrimonio. Hai bisogno di una persona che si prenda cura di te, che coltivi la tua cultura, la tua conoscenza, la immagazzini e ne faccia tesoro, questo sorriso non è tutto. Ma cosa sto pensando? Mi fermo a guardare le sue foto, ho come un morso dentro. Non ha senso.

Lancio via il telefono e vado a farmi una doccia, fredda, ghiacciata. Magari ghiaccia anche i miei pensieri. Subito dopo, asciugo i miei lunghi capelli rossi naturali e mi cambio, mi dirigo verso il piccolo soggiorno cucina, con un divano ed un televisore. Prendo le chiavi di casa, controllo di aver chiuso le luci di casa, ed esco. Mia nonna abita a pochi isolati da casa mia, arrivo a piedi tranquillamente. Non appena arrivo, apre subito la porta e mi abbraccia forte, io ricambio. Entriamo e la chiudo alle mie spalle. Sprofondo sul divano, mentre lei porta le due tazze sul tavolino, casa sua era molto confortevole e sicuramente più grande della mia, spesso mi ha chiesto di venire a vivere con lei, ma ho sempre rifiutato perché per quanto io le voglia bene, ho bisogno dei miei spazi e venire qui resterà sempre una di quelle cose da fare quando il mondo crolla. E' il mio posto sicuro e questo posto non può diventare anche casa mia. 

"Com'è andato il primo giorno di Università?" Dice, sedendosi.

Bene, nonna, ho conosciuto il mio professore, mio bel professore, ci ho scambiato una conversazione che mi ha fatto arrossire, l'ho trovato su Facebook e ho provato un sentimento strano nello scoprire che fosse sposato con una donna, che ho avuto anche il coraggio di giudicare!

Avrei potuto dirle, ma non l'ho fatto.

"Bene, nonna. Penso che mi divertirò molto."  dico, sorridendo. 

"Ne sono felice, com'è l'edificio?" 

"Attraente", dico soprappensiero bisbigliando.

"Come?" 

"Grande, nonna. Grande, sembra più piccola da fuori." Ritorno in me.

"Capisco, ai miei tempi.." fa una pausa, sta cercando di ricordare, ma a malincuore non riesce, la vedo visibilmente affranta. 

"Nonna, ai tuoi tempi forse non esistevano neanche le aule così come sono adesso, non preoccuparti!"

"Si, esistevano, te lo assicuro, è che io non riesco a ricordarlo" Alza il tono della voce e poi si accascia buttando fuori un sospiro "Non volevo, scusami".

"Nonna, va tutto bene, non preoccuparti, lo so. E' pronto il tè, sento il bollitore, vado a prenderlo e arrivo subito." 

Annuisce, guardando altrove. Mi avvicino e le do un bacio sulla fronte, lei accarezza la mia spalla in segno di comprensione. 

Vado a prendere il tè, approfitto per spulciare nuovamente il telefono, trovando ancora notifiche sul gruppo dove parlavano di appunti presi a lezione oggi, che mi riportano a pensare quelle parole dette, quello sguardo di troppo a lezione, quel suo cercare di prendere tempo in quella stanza. 

"Allora?" urla la nonna, dall'altra stanza. 

"Arrivo", prendo il tè e lo porto nel soggiorno. Parliamo ancora un po' e nel frattempo, si fa ora di pranzo, finisco di preparale in pranzo che purtroppo non mangiamo insieme a causa dell'università, avendo un corso alle ore 14 in punto, e che non ammette ritardi. La saluto con un forte abbraccio, e vado verso casa, preparo lo zaino, mando un messaggio sul gruppo per avvisare che adesso sto partendo da casa e vado verso l'Università. Arrivo per fortuna senza alcun problema, in perfetto orario. Questa volta i ragazzi erano in ritardo, o forse ero io in anticipo. Mi metto sulle scale con i miei auricolari ad aspettarli, leggendo il libro che stavo cercando di finire da un po', riguardante il periodo del Terrore di Robespierre. Molte persone salgono e scendono da quelle scale, molte più di quanto si possano contare, è un'università molto ricca e piena di persone e personale. Un uomo della Security, si avvicina e mi chiede di alzarmi, poiché per questione di sicurezza non potevo sedermi sulle scale. Mi alzo e nel farlo, mi cade il libro, lo raccoglie un ragazzo della mia età, con occhi verdi e capelli scuri, me lo restituisce e poi va via. Non lo avevo visto a lezione, ma chissà quale corso seguirà. Non importa, mi dirigo verso la grande statua al centro, approfittando del tempo per esplorare meglio quelle mura, cosa che prima non ero riuscita a fare. Salgo le scale al primo piano, e sulla sinistra c'era l'aula di stamane, ancora semi aperta, passo davanti, era vuota. Cosa mi aspettavo di trovarci? 

O chi?

Mi arriva una chiamata da parte di Barbara.

"Noi siamo arrivati."

"Sono già al piano di sopra, raggiungetemi." riaggancio. 

Mi giro di spalle e vado vado verso le scale, quando vedo un'ombra dietro di me avvicinarsi sempre di più, è quasi accanto a me, posso sentirla respirare.

E mi supera velocemente.

Non era lui

Peccato.

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