HUNTERGuardai il suo hamburger.
Lo reggeva in mano da un po', concentrata a fissare la televisione mentre sorseggiai dell'acqua, non capendoci niente di ciò di cui parlassero quei tizi . «Perché non lo finisci?».«Non ho molta fame.» Parlò allungandomelo d'istinto, anche se poi ritirò la mano pensando che quel gesto fosse affrettato o potesse darmi fastidio. Lo faceva sempre, anche in passato. Le veniva spontaneo fingere di non avere fame per passarmi il suo cibo. Era il suo linguaggio dell'amore e non era cambiato nulla da allora. Vedendola a disagio arrotolai il suo polso nella mano e portai il panino vicino alle mie labbra per addentarlo, certo che le avrebbe fatto piacere.
«Finiscilo....» mormorai pacato masticando «....non hai mangiato quasi niente. Inoltre, ti ho dato una piccola mano...» d'improvviso, i miei occhi si posarono su una piccola macchia di sangue sul suo fianco, di cui lei non si era resa minimamente conto. O almeno, fino a che non posò lo sguardo dove io avevo portato il mio.
«Oh...no!» Mugolò a bassa voce mentre mi alzai in piedi ed andai a prendere la cassetta del pronto soccorso. Quella con cui lei aveva curato me quando mi avevano sparato al braccio. La raggiunsi appoggiando la scatoletta di plastica bianca sul tavolo e dopo essermi posizionato in piedi dinanzi a lei, le afferrai l'orlo della maglietta del pigiama e gliela sollevai. Non esitò, nonostante non ne avessi alcun diritto.
«Avanti, sdraiati.» La aiutai mentre strinse i denti addolorata.
«Mi hanno ricucita almeno tre volte.»
«E sai perché?» Le chiesi indossando un paio di guanti di lattice. «Perché il tuo culo non sta mai fermo.» Sogghignai notando con la coda dell'occhio le sue buffe espressioni facciali.
«E che dovrei fare secondo te?» Domandò quando le levai il vecchio cerotto che le ricopriva la zona lesa che lentamente si stava cicatrizzando. «Vivo da sola. È chiaro che mi devo alzare se voglio andare in bagno, oppure se voglio mangiare o prendermi un maglione e-...»
«Vieni da me.» La azzittii.
«Da-...da te?» Balbettò, ed il suo addome tremò quando il cotone impregnato di disinfettante le sfiorò la ferita. «E che dovrei venire a fare da te?»
«Necessiti di qualcuno che si prenda cura di te.» Parlai gettandole un'occhiata fugace. «E chi meglio di me può farlo?...Ayron?»
Mi scrutò per un po' e sogghignai per il modo e la fretta con cui si accigliò, perché da lì a poco sarebbe scoppiata. Era così facile provocarla ed io mi divertivo tanto a farlo.
«Che c'entra Ayron ora? Non capisco perché tu debba sempre tirarlo in ballo.» Prese le difese del ragazzo come se il fatto che lo nominassi non le andasse giù. «E poi, credi che non ne sarebbe capace? È questo ciò che pensi?»
«Affatto.» Scossi lentamente la testa. «Credo invece che ne sarebbe molto capace. Che morirebbe pur di starti vicino affine di prendersi cura di te.»
«Appunto.»
«Ma ci sono due motivi per cui non può farlo.» La vidi sollevare le sopracciglia con curiosità. «Il primo perché ci sono io qui e basta e avanza!»
Aggrottò la fronte ed il suo viso assunse un'espressione facciale di disappunto. «E il secondo?»
«Il secondo, perché....» le richiusi la ferita con un nuovo cerotto «....per quanto lui possa provarci o possa anche solo sperare o immaginare, non riuscirebbe a prendersi cura di te come potrei fare io. Nessuno riuscirebbe a prendersi cura di te meglio di me, piccola.»
I suoi occhi mi sfidarono per un po' e faticai a trattenere il sorriso. Malintese, credendo che la stessi prendendo in giro Ah, Ivy Ivy...come ti conosco bene, pensai tra me e me. «E se io non volessi?»