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HUNTER

Dopo l'intervento e soprattutto, dopo che i medici mi rassicurarono che le condizioni di Ivy sarebbero stati stabili e che la ragazzina fosse fuori pericolo di vita per miracolo, andai a casa sua a prenderle delle cose che le sarebbero state utili nei giorni di permanenza in ospedale. Intimo, pigiami, cellulare , spazzolino e dentifricio.
Tutto.
Quando passai dinanzi alla portafinestra conducente nel giardino sul retro constatai che fuori non avesse smesso di piovere , eppure, niente era bastato a cancellare la macchia di sangue dalle piastrelle del giardino. I contorni ne erano diventati meno definiti, ma la pozza c'era ancora, così, uscii fuori ad afferrare una scopa che probabilmente usava per pulire il giardino e cercai di eliminare ogni traccia di sangue spingendola verso l'erba. Strinsi i denti affranto ripensando a quella scena ancora così vivida in me. Se quella piccola mendicante non fosse venuta nell'esatto istante in cui ero uscito da casa di Ivy, probabilmente sarebbe morta dissanguata. Cazzo!
Ero lì e non mi ero neppure accorto della sua presenza, nonostante fosse fuori ed agonizzante. I sensi di colpa mi stavano ammazzando, divorandomi vivo internamente. Ciononostante, recuperai la lucidità mantenendo, o cercando di mantenere la calma, e decisi di raggiungerla di nuovo in ospedale cosicché da trovarmi lì al suo risveglio. Quando entrai però nella mia macchina, affine di ripararmi dalla pioggia, in lontananza riconobbi la bambina della notte precedente. Indossava ancora il mio giubbotto e si stava dirigendo verso di me. La fitta che provai al centro del petto vedendola camminare scalza sull'asfalto gelido e bagnato, mi destabilizzò non poco, così, scesi dall'auto ed attesi che mi raggiungesse per darle dei soldi, anche se temei che qualcun altro la sfruttasse proprio per quello.

Mi guardò con i suoi occhioni scuri per un po' ed infine si levò il giubbotto per ridarmelo. «No, tienilo pure.» Esclamai aiutandola a rimetterselo ed evitando che prendesse freddo. «Ho bisogno di te.» Mormorai estraendo dalla tasca il cellulare per impostare il traduttore cosicché ci capissimo. Scrissi sullo schermo ciò che volli chiederle e glielo mostrai, ma lei restò inerme a guardarmi. «Non dirmi che non sai leggere?» Dannazione, pensai tra me e me. Questa non ci voleva! «Va bene, proviamo così, sperando che questo possa avere senso nella tua lingua...» mormorai premendo la voce parlante cosicché le leggesse la traduzione «....va meglio?... Mustafa?...Sai dove si trova?»

Lei mi scrutò per un po' ed infine, annuì incominciando a dirmi qualcosa che non capii. Così, mi aiutai col traduttore invitandola a registrare la sua voce mentre lentamente la frase prendeva forma.

«Mi puoi indicare il posto? Ne saresti capace?» Le domandai pigiando sullo schermo finché dopo aver udito la traduzione , annuì, riferendomi anche che non fosse molto lontano da dove lei vivesse. Invitai la bambina a salire nel mio veicolo per riportarla a casa e mi fermai in un negozio lungo la strada affine di comprarle un paio di scarpe, dei vestiti ed un giubbotto. Infine, dopo che mi indicò con precisione dove vivesse, fermai l'auto e diedi un'occhiata al luogo circostante. Nulla a che vedere con la Istanbul che avevo visto finora. Palazzine cadenti, strade rovinate, fattoni appollaiati sui marciapiedi e senzatetto ad ogni cassonetto dell'immondizia.

Cristo Santo, mormorai a denti stretti dando un'occhiata in giro finché lei mi afferrò per mano per trascinarmi con se.
La prima sensazione che ebbi fu ...pace.
Una pace inspiegabile.
Non seppi come spiegarlo a me stesso in quell'istante, ma guardandola e sentendomi così bene, avrei giurato che il bambino che Ivy portava in grembo e che perse per colpa mia, sarebbe stata una femmina.

La mia bambina.

La guardai attentamente immaginando come sarebbe stata mia figlia, considerando che se le cose fossero andate bene ed Ivy avesse portato la gravidanza al termine, a quell'ora avrebbe avuto pochissimi mesi. Il cuore mi galoppò in gola fino a mozzarmi il fiato mentre pensai a quanto tempo inutile avessi perso a detestarla con tutta l'anima. Una volta mio padre mi disse qualcosa che mi restò impressa per sempre. Lui era un uomo tutto d'un pezzo, parlava poco ma diceva sempre cose sensate. Di valore estremo. Insegnamenti di vita da custodire come un tesoro prezioso. Una volta eravamo fuori in campeggio, insieme. Lui amava il cielo e le sue immense sfaccettature tramandando quella passione per l'astronomia anche a me. Accese il fuoco e si impuntò a fissare il cielo per un po' mentre mi chiesi che cosa ci fosse di tanto bello lassù, tanto da catturare la sua totale attenzione.

HUNTER  2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora