Capitolo 1: Lorenzo

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Che ore sono, adesso?

L'appuntamento era alle cinque in punto, giusto? Qui non si vede ancora nessuno. Possibile che mi abbiano mentito? Ma dove cavolo è Roberto, poi?

Devo calmarmi, va tutto bene. Sono io ad essere in anticipo, sì. Va tutto bene, in fondo mi dicono sempre che sono anche fin troppo puntuale, quando si tratta di presentarsi agli appuntamenti.

Però ho un'ansia assurda, sul serio. Cioè, non è normale essere così agitati, alla fine non è mica un matrimonio. Certo, mi piacerebbe che lo fosse, ma non lo è. No, non lo è.

Sento il telefono vibrarmi nella tasca. Spero sia lei, deve essere lei.

"Sto arrivando, non ti lascio da solo" c'è scritto. Oh, questo proprio non me lo aspettavo. Però è una cosa bella, era quello di cui avevo bisogno.

Rivolgo uno sguardo all'orologio che ho al polso. Me l'ha regalato Diana la settimana scorsa, mi piace tantissimo. Sono le 17:09. E' in ritardo di nove minuti... nove minuti. E' poco tempo, sono sicuro che sta arrivando. Penso che, neanche troppo tempo fa, ci siamo conosciuti proprio alle 17:09 di un giorno come tanti altri, e in questo momento spero solo che sia un segno.

Ma che diavolo sto facendo? Ho perso la testa? Dio, sarà il giorno peggiore della mia vita. Non sarà neanche un po' come me l'aspettavo, lo sento. O forse andrà bene? In fondo potrebbe davvero andar bene. Sì, andrà bene. Tanto, se andrà male basta non vedersi mai più, no? So già che probabilmente non ci riuscirò, ma è l'unica cosa che posso pensare per evitare di impazzire completamente. Se va male, addio per sempre. E se va bene... beh, se va bene, va bene.

Forse dovrei smetterla di raccontare le storie partendo dalla fine. Il mese scorso mi ha detto che adora quando mi faccio prendere dal panico e inizio a straparlare, e sono sicuro che è proprio quello che sto facendo adesso. Però, come dire, è più forte di me. Ho l'ansia. Il cuore mi sta battendo forte, e mi chiedo se sia a causa dell'amore, dell'affanno, dell'ansia o di un misto di tutti e tre. O sto solo morendo? Oh Dio, spero di no.

Credo sia meglio rallentare e cominciare dall'inizio, giusto? Tanto sono le 17:11 e qui non si vede ancora nessuno. Neanche Roberto, ma che fine ha fatto? Va bene, adesso mi fermo. Mi fermo e parto dall'inizio, anche se ogni storia che si rispetti deve sempre avere un finale, e il finale di questa storia è proprio oggi.

Quest'anno la scuola è iniziata il 20 settembre. In realtà non è che fosse proprio quella la data stabilita, ma il preside aveva avuto la brillante idea di far ritinteggiare la scuola verso fine agosto, convinto di poter finire in tempo. Forse aveva dimenticato di trovarsi in Italia, e quindi alla fine furono tutti costretti a ritardare l'inizio delle lezioni senza neanche aver completato i lavori. Per noi studenti, ovviamente, ricevere quella notizia era stato come Natale in piena estate.

Fra me e Michela era finita da diverse settimane, ormai. Sapevamo che ci saremmo rivisti in classe e avremmo passato ore e ore a stretto contatto tutti i giorni, ma io non ero agitato. Cioè, la gente si lascia tutti i giorni, non è poi una tragedia. Sì, eravamo stati insieme per tipo sei mesi, ma poi l'amore era finito all'improvviso. O almeno quella era la versione che raccontavo in giro. Ci sarebbe un'altra versione, in realtà, in cui c'è lei che un giorno decide di accoppiarsi con un tizio conosciuto in vacanza e mandarmi un selfie mentre è a letto con lui, senza accorgersi che i capelli del tipo che dorme sono ben visibili, ma preferisco tenerla per me ed evitare di parlarne a tutti.

Quel giorno Diana entrò in classe subito dopo di me e mi si sedette accanto proprio appena la prima campanella fu suonata. Ci abbracciammo, anche se ci eravamo visti la sera prima.

«La squillo non è ancora arrivata?» mi chiese. Pensai si riferisse a Michela, sebbene in quella classe non fosse di certo l'unica, lei, a meritare tale appellativo.

«No, e se il primo giorno di scuola già la mandano dal preside sappi che sarà una bellissima giornata» ribattei io.

Diana e io ci siamo conosciuti in quarta elementare quando lei, da Palermo, si è trasferita a Milano a causa del lavoro del padre. Ancora oggi non ricordo mai che tipo di lavoro faccia quell'uomo. Forse autista, ma di un'azienda in particolare. Boh.

Comunque, ricordo che all'inizio parlava in siciliano per la maggior parte del tempo, e io non riuscivo quasi mai a capire cosa dicesse. Poi frequentando le medie ha iniziato a perdere lentamente la cadenza del sud, e oramai, a diciassette anni suonati, aveva l'accento milanese più marcato del mio.

«Buongiorno! Buongiorno classe!» urlò una voce maschile mentre entrava nell'aula. «Quest'anno esami, ooh! Siete pronti? E-s-a-m-i!»

Luca, che era in piedi vicino alla cattedra, gli sorrise sconsolato, un po' come se quella frase gli avesse fatto tornare in mente ciò che ci aspettava a giugno.

«Eh, chissu un 'navi 'nenti a chi pinsari» gli rispose Diana in un misto di siciliano e milanese.

«Oh, buongiorno anche a lei, Mafia! Baciamo le mani!» la salutò Roberto facendole il verso. Ci scambiammo un cinque di assenso e poi si sedette dietro di noi, al terzo banco. «Sta arrivando Michela, l'ho vista sulle scale.»

«Buon per lei, sai quanto mi frega,» risposi. E in realtà era vero che non mi importava di lei. Non la odiavo né nulla, mi era solo indifferente. Come si potesse essere tanto strafottenti da tradire il proprio ragazzo in vacanza, io proprio non me lo spiegavo. E come si potesse essere tanto idioti da mandare una foto e farsi sgamare già il giorno dopo, per me era un mistero ancora più grande.

«E se viene ca fai, la saluti?», mi chiese Diana.

Era ovvio che l'avrei salutata... Cioè, era lei a doversi vergognare, perché in fin dei conti le corna me le aveva messe lei, mica io. Io non avevo proprio nulla per cui dovermi nascondere, in ogni caso.

Non ebbi neanche il tempo di formulare il pensiero che lei si presentò in classe. L'ultima volta l'avevo vista in piazza, tre settimane prima, ma ora era completamente diversa: dal suo castano naturale era passata ad un biondo tinto che praticamente era giallo. Era truccatissima, quasi come una battona. Pensai che, ancora una volta, Diana si era dimostrata sensitiva. Poi abbassai lo sguardo e notai che portava i tacchi. I tacchi. A scuola, a settembre.

«Buongiorno», disse al vento, e la sua voce si disperse nel chiacchiericcio generale.

«Ma come si è conciata? Signure!» commentò bisbigliando Diana.

In quel momento, una vocina dentro di me mi disse che era davvero bella. L'altra vocina, quella della coscienza, mi ricordò cos'aveva fatto, e per un istante mi sembrò tanto di avere sulla spalla sinistra un angioletto e sulla spalla destra un diavolo, un po' come nei Simpson. Alla fine concordai dentro di me che fosse sì una stronza, ma una stronza davvero carina.

«Oh, però è proprio una bella ragazza, dai», aggiunse Roberto, che probabilmente mi aveva letto nella mente. Aprii la bocca per rispondergli, ma fui interrotto dall'arrivo della Garcia.

Quando la prof di spagnolo ebbe posato il registro dopo averci salutato, mi resi davvero conto di essere all'ultimo anno di liceo. Realizzai di avere quasi diciott'anni, di star diventando un adulto. Ogni tanto mi capitava di pensarci, anche senza nessun motivo apparente: non ero più un ragazzino, ormai, e la cosa iniziava a diventare reale.

Certo, mi aspettavo che quell'anno sarebbe stato impegnativo, difficile e intriso di malinconia per il fatto che fosse l'ultimo, ma se il 20 settembre qualcuno mi avesse detto ciò che sarebbe successo poi, probabilmente avrei riso, e la mia risata sarebbe stata forte quasi quanto quella che accompagnò la caduta di Michela, prima che arrivasse a prendere posto al suo banco.

Dimmi che esistiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora