Capitolo 24: Lorenzo

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Non succederà, avrei voluto rispondere alla domanda di Melissa. Ma non lo feci a) perché avrei detto una bugia, magari, e b) perché fummo interrotti dal rumore della porta d'ingresso che si apriva. Erano quasi le quattro del pomeriggio, e l'arrivo dei signori Cerullo era ormai atteso da un po'.

«Ah, picciotti, buonasera» disse Alfredo rivolgendoci un rapido sguardo. Pensai che fosse da solo, perché Mirella non era con lui. Quando guardai verso il corridoio, però, notai un'ombra che si stava avvicinando alla camera da letto: capii che era lei, era Mirella che stava andando a riposare. E capii che probabilmente c'erano brutte notizie, e che Ally mi mancava, anche se non sapevo cosa c'entrasse con la storia.

Diana si alzò per andare verso di lui, mentre noi tre restammo ai nostri posti, in preda all'imbarazzo. Ammetto che non mi aspettavo un abbraccio fra i due, però ci speravo davvero: era un momento difficile per entrambi, cosa sarebbe costato a quell'uomo abbracciare la propria figlia? Sapevo che non ne era il tipo, e sapevo anche che era teso e agitato, ma Diana lo era esattamente come lui, e meritava un abbraccio da parte di suo padre. Un abbraccio che, ovviamente, non ottenne.

«Ma'?» disse Di' mentre si avviava verso di lei. Suo padre, sulla soglia della porta del soggiorno, la fermò.

«Deve riposare».

A quel punto Diana fece una cosa che le ho visto fare sempre e solo quando litiga con un membro della sua famiglia: ingoiò la lingua e tornò esattamente dov'era prima, senza opporre la minima resistenza e senza fare domande.

«Alfredo, come sta la signora?» chiese Berto.

«Ehhh,» disse lui esagerando, e con un insolito accento siciliano, «comu sta, comu sta! Mirella il sangue siciliano ha, è un liuni. Oh, non vi dovete proprio preoccupare!» aggiunse guardando tutti e tre. Melissa nel frattempo era rimasta a fissare il televisore, e magari l'uomo neanche si era accorto della sua presenza.

Io non riuscivo a credergli. La famiglia Cerullo ormai era milanese d'adozione, e Alfredo non era il tipo che parlava spesso in dialetto. Lo faceva solo quando era agitato, preoccupato o arrabbiato. In quella situazione l'alternativa migliore era che fosse arrabbiato perché sua moglie aveva ripreso a bere, piuttosto che agitato perché aveva perso suo figlio.

«Perché siete andati in ospedale?» domandai io facendo le veci di Diana. Lei era immobile, seduta accanto a me attorno al tavolo, e io le presi la mano prima che suo padre rispondesse.

«Eeeh, una nica perdita ha avuto, niente di che. Lo sai com'è quella, Lore', voleva andare in ospedale per stare tranquilla, e là io la portai».

Mi domandai perché Francesco non fosse uscito da camera sua per sapere qualcosa. Forse non gli interessava? Forse conosceva già la risposta alle domande che noi ancora avevamo?

«Ma il bambino sta bene, allora?» trovò il coraggio di chiedere Diana.

«Eeeeh,» esclamò per la terza volta, «beni, beni sta! Però lasciatela riposare, picchi sta stanca assai. Ma voi da quanto state qua? Che vi mangiaste?»

«No, Alfredo, siamo venuti dopo pranzo, tranquillo» mentì Berto. «Siamo a posto. Poi ora siamo pure più calmi ché sappiamo che va tutto bene. Sei contenta o no, Maa...iana?»

Roberto non aveva mai chiamato Diana in quel modo davanti a suo padre, e non sapeva come l'uomo avrebbe potuto reagire. Lei girò lo sguardo verso di lui, seduto sul divano accanto a Melissa, e accennò un sorriso.

«Vedi tu, stavo morendo io», disse, e si lasciò andare in una risata.

Finsi di abboccare a quella bugia confortante. Finsi di aver dimenticato ciò che ci aveva detto Francesco qualche ora prima, la frase di suo padre sull'essere stanco di mentire e il voler dire la verità ai figli. Sicuramente la storia non era finita lì: una parte di me sentiva che quello era appena l'inizio. Era una sensazione che a volte mi invadeva, e quando capitava era raro che mi sbagliassi. Era l'inizio di qualcosa di grande, quel giorno. Stava cominciando qualcosa che, anche molti anni dopo, avremmo ricordato essere cominciato proprio quel pomeriggio. C'erano tante zone d'ombra in quel racconto, tanti punti interrogativi. Ma ogni punto interrogativo era un possibile punto esclamativo che avrebbe potuto trafiggere al petto la mia migliore amica.

«Mi vado a fare una doccia e poi a letto mi metto, minchia quanto sto stanco. Piacere di avervi visto, picciotti!» si congedò Alfredo, e poi si chiuse in bagno. Dopo poco sentimmo l'acqua che iniziava a scorrere e cominciammo a parlare liberamente.

«Che dici, Mafia?» chiese Roberto. «Sei più tranquilla adesso, eh?»

Lei annuì, ma nel mentre si era già alzata per andare in camera di sua madre. Nessuno di noi tre ebbe il coraggio di seguirla, forse perché eravamo troppo educati e volevamo lasciare alla nostra amica un po' di spazio, o forse perché avevamo paura di cosa avremmo visto. Io e Roberto ci guardammo negli occhi quando Diana fu sparita dal nostro campo visivo, e nel frattempo Melissa messaggiava con qualcuno.

Tornò dopo un minuto circa. Troppo, per essersi allontanata solo di qualche metro quadrato. Si sedette accanto a Melissa, la quale rivolse lo sguardo a lei quando si accorse che Diana stava guardando noi.

«Sta dormendo... e pure Fra. Che minchia di giornata pesante, Madonna».

«E' finita, però» dissi nel modo più naturale che mi era possibile.

«Eh, tu dici?»

«Che significa?»

«Lore, e dai...»

Non c'era bisogno che si spiegasse: ci eravamo capiti benissimo, e anche Roberto sembrava pensarla come noi.

«Oh, dai, se non ti hanno detto niente vuol dire che non è una cosa grave!» provò a calmarla lui.

«O è talmente grave che vuole dirmela quando sarò da sola».

«Non avere troppa paura» parlò Melissa, e Diana fece uno scatto quando capì che accanto a lei c'era davvero una figura umana, e non un manichino o una persona che dormiva. Suppongo che quella ragazza passasse spesso inosservata, visto il modo in cui tendeva a nascondersi.

«Perché?» chiesi io. Mi incuriosiva.

«L'hai guardato negli occhi? Non è niente di grave. Sempre che sia qualcosa».

Io sì, l'avevo fatto. Ma lei, lei quando l'aveva guardato negli occhi?

«Eh, Meli, però devi considerare anche che...»

«Non essere negativa», la ammonì lei. «Se pensi che ci sia qualcosa che non va, alla fine ci sarà davvero. Se invece pensi positivo, alla fine si risolverà tutto».

Se pensi positivo, alla fine si risolverà tutto. E' questa l'unica verità che conta. Guardo l'orologio. Sono le 17:15 e qui non si vede ancora nessuno. Perché dovrei pensare negativo? Ally potrebbe essere in ritardo, magari perché abita lontano. Sono sicuro che verrà. E verrà anche Roberto, se si sbriga. In effetti, pensandoci, quel pomeriggio avevo davvero ragione. Era davvero l'inizio, quello. L'inizio di una storia che ha cambiato tutti noi, che ci ha avvicinato e ci ha fatto crescere. Era l'inizio del percorso che ha portato Diana a comprendersi, a capirsi. Il percorso che ha portato me a incrociare la strada con quella di Ally tante, troppe volte, senza mai avere l'occasione di vederla davvero. Come a quella festa. O come in questo stesso parco, qualche settimana fa. A volte basta poco per calmarsi. A me, oggi, basta tornare indietro nel tempo, navigare nei ricordi di un anno tanto bello quanto strano e complicato, tanto particolare quanto soddisfacente e duro. Ally si farà vedere, ne sono certo.

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