Capitolo 15: Roberto

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Quando compii dieci anni organizzai una festa spaventosa in un locale vicino casa. Cioè, forse "locale" non è il termine più adatto per descriverlo, anche perché un diciottenne di solito vede un posto del genere solo come covo di droga, alcol e mignotte, ma devo dire che da bambino il mio modo di vedere le cose era leggermente diverso, e quindi mi ero limitato a comprare pizzette, affittare un paio di animatori e innaffiare il tutto con palloncini e cazzi vari.

Anche se all'epoca non l'avrei mai ammesso, quella festa del cazzo l'avevo organizzata solo per Vacca - il cui vero nome era Federica, ma chissenefrega - che praticamente era una bambina che frequentava le elementari con me. E, insomma, io la amavo e avevo già scelto il posto in cui, durante la serata, l'avrei portata in segreto per aprirle il mio cuore e vivere una vita felici e contenti circondati dai soliti palloncini e dalle solite pizzette.

Quando la portai lì - perché ovviamente la portai, eh, visto che non ero un cagasotto - quella vacca mi confessò che si era appena fidanzata con Osvaldo. Cioè, dai, con Osvaldo, il mio acerrimo nemico! In quel momento mi venne da piangere, ma, non essendo ancora tanto adulto da avere ben chiaro il concetto di dignità, anziché tentare di trattenermi e ingoiare il dolore decisi di spingerla via affinché non mi vedesse frignare. Dopo qualche secondo però mi resi conto che, piuttosto che farla allontanare, il mio spintone aveva solo fatto sì che Vacca cadesse rumorosamente di testa, e quindi fui costretto a darmi alla fuga per riuscire a piangere in tranquillità.

Ci rimasi di merda, ma poi me la dimenticai. Oggi so che lei e un tizio a caso hanno un bambino che ha già un anno, e Vacca ha dovuto abbandonare gli studi, è stata cacciata dalla famiglia eccetera eccetera. Insomma, vive una bella vita. E non voglio certo dire che le stia bene o se lo sia meritato, perché non è bello dirlo, ma... le sta bene, se lo è meritato. Vacca maledetta che mi spezzò il cuore.

Al telefono con Lorenzo la situazione praticamente si stava ripetendo, e io rimasi pietrificato quando mi disse che amava ancora Michela. Avrei certo potuto pulirmi la coscienza e confessargli comunque che in estate me l'ero scopata - tenendo però per me tutta la cazzata dell'essere innamorato, visto che non era certo il caso di dirlo - ma sarebbe stato inutile raccontare solo un pezzo di verità.

«Berto?» mi richiamò lui. Ero in silenzio da tipo dieci secondi.

«Ah...» esclamai. Mi resi subito conto subito che, se avessi cominciato a fare il depresso, sarei stato proprio l'amico di merda che non volevo essere. Ok, amavo Michela. E quindi? Tanti stronzi amano tante stronze, quanto spesso finisce male? Gesù, avrei dovuto smetterla di pensare a lei. Era vero che ci avevo scopato, ma a dir la verità ero incosciente. Cioè, ero letteralmente incosciente quando era successo, e, se non fossi stato fatto, di certo fatto non l'avrei mai. Oh, quanto sono sagace. Però il punto era che, cazzo, se non ci avessi scopato neanche me ne sarei innamorato, quindi, insomma, tornava tutto lì. Porca puttana.

«E lei che prova, secondo te?» aggiunsi.

«Mah,» mi rispose lui, «in realtà penso che ricambi. Pensa che neanche due minuti fa mi ha contattato su Whatsapp».

Deglutii, tentando di regolare il respiro per evitare di fare come quando avevo dieci anni. «Perché non glielo dici? Dai, tanto ormai sono passati quasi due mesi, la vita va avanti...»

«Eh, Berto, lo so, però...» disse, e poi si fermò per qualche istante. «Cioè, dai, mi ha pur sempre tradito, è difficile passarci sopra. Comunque senti, non è questo il punto, poi ne parliamo meglio un altro giorno. Io il mio segreto te l'ho detto, tu ora mi dici il tuo?»

Che cazzo gli potevo rispondere? Non potevo manco giocarmi il jolly di mio padre, perché quello gliel'avevo già detto. Decisi, nella mia coscienza, che gli avrei parlato dei miei sentimenti per Michela solo se fossi stato certo che lei non avesse più voluto saperne di lui. Anche se, però, sapevo benissimo che non era così, perché lei me l'aveva confessato esattamente dodici ore prima, ma non potevo di certo dirlo a Lorenzo: mi avrebbe chiesto "come fai a saperlo?", e io a quel punto sarei andato nel pallone e avrei chiuso la telefonata. Quell'accordo inconscio non era certo la soluzione migliore per me, perché praticamente prendevo una possibile felicità e la gettavo nel cesso, ma non importava, perché Lorenzo era il mio migliore amico e su di lei aveva più diritto di me. Io dovevo solo farmi da parte.

Senza accorgermene, stavo già parlando. «Sono...» iniziai, per poi fermarmi per qualche istante.

«Sì?» mi spronò lui.

«...innamorato...» continuai. Ma che cazzo stavo dicendo? Porca puttana, dovevo fermarmi. Cazzo, cazzo.

«Sìì?» insistette Lorenzo.

«...di Mafia» dissi con un tono che faceva tanto presa per il culo. Che cazzo ho detto pensai, e poi mi domandai se anziché pensarlo l'avessi detto a voce alta. Tanto ne avrei parlato a Diana e lei avrebbe detto che era d'accordo, ma era davvero il caso di aggiungere altre bugie alle bugie?

Lui mi rispose subito. «Ma cazzo, sei di nuovo innamorato di Di'? Lo sapevo io! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!» ripeteva. «E lei, e lei?»

«Figa, cazzo ne so, chiedilo a lei».

«Aspetta,» si fermò, «se ami Diana e io non c'entro niente, allora perché stamattina ignoravi me e non lei?»

«Non lo so, Lore, ero in imbarazzo, non volevo ancora dirtelo, è una cosa recente» inventai. In quel momento pensai seriamente di essere una bugia che camminava. Non riuscivo a stare al passo con chi sapeva cosa, e magari quella sera sarei andato da mamma e, convinto di parlare con Lorenzo, le avrei detto "cazzo, Lore, spero che mia madre non scopra che mio padre la cornifica", o avrei scritto a lui "oh, Mafia, ho detto a Lore che ti amo per non dirgli che mi sono scopato Michela: reggimi il gioco!". Sarebbe stato tutto più semplice se solo avessi detto la verità a tutti, cazzo.

«Ma perché eri in imbarazzo, oh? Guarda che insieme sareste proprio una bella coppia!»

«Eh, hai ragione, però... come?» finsi, «eh, aspetta, adesso vengo! Senti, devo andare che mia madre sta rompendo i maroni, ci vediamo domani» dissi, e attaccai velocemente il telefono per paura di sentirgli dire qualsiasi cosa.

Non sapevo più cosa fare, ero semplicemente stanco. Era una faticaccia mentire al mio migliore amico, ma era ancora più faticoso fingere che non m'importasse nulla di Michela quando in realtà avrei solo voluto dirle che l'amavo. Però, cazzo, la cosa più faticosa di tutte era sicuramente stare in casa e vedere papà che abbracciava la mamma e faceva finta di nulla. Il sangue non mente, porca puttana, pensai mentre mi sdraiavo a letto sopraffatto da tutte le bugie che ero costretto a dire e ad ascoltare.

Senza volerlo, nel giro di dieci minuti mi addormentai, sperando che quando mi fossi risvegliato magicamente Lorenzo avrebbe saputo tutto e mi avrebbe perdonato, mentre Michela sarebbe venuta a casa mia pronta a porcheggiare un po' come il luglio precedente.

Che fatica avere diciotto anni fu il mio ultimo pensiero.

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