Capitolo 5: Diana

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Non mi definisco una ragazza schizzinosa. Anzi, tutti dicono che sono una maschiaccia perché, a differenza delle mie coetanee, non mi spavento se mi si spezza un'unghia, se sudo o vedo qualcuno sanguinare. La mia unica pecca, che posso farci, è che non sono mai riuscita a sopportare il vomito e tutto ciò ad esso collegato.

E quindi, insomma, non ero certo la più felice del mondo quando quel pomeriggio fui costretta a dovermi prender cura di mia madre.

Lo ammetto, mi veniva da piangere. Non tanto per il vomito, eh - per quello bastava tapparsi il naso - quanto più per ciò che era successo prima. Erano due anni che non lo rifaceva, e ormai pensavo l'avesse superato. Di certo non mi aspettavo, quel pomeriggio, di trovarla distesa a terra in una pozza di quello schifo, con la bottiglia di gin ancora in mano.

Ora, a me non piace fare la vittima e lamentarmi, perché sono consapevole che ci siano famiglie in situazioni peggiori, ma proprio non capisco perché la mamma alcolista sia toccata a noi. Mi sento impotente quando vedo che si è ubriacata di nuovo, e i miei pensieri seguono un ordine ben preciso: 1) Dio, potrebbe morire soffocata, o vomitare ancora o rimanere incosciente per sempre, devo fare qualcosa! 2) Pensandoci, non le starebbe male se rimanesse incosciente per sempre, così impara 3) Ma che cazzo dico? E' sempre mia madre! Sono proprio la figlia peggiore del mondo.

E ogni volta è la stessa storia: "mamma, mi senti?", e lei che grugnisce perché le fa male la testa - o lo stomaco, o forse tutto il corpo - "adesso ti do una ripulita", e io che la metto sul divano seduta, perché se la mettessi sdraiata magari starebbe peggio.

«Mi spieghi che ti è passato per la testa? Perché l'hai fatto di nuovo?» le dissi mentre andavo a prenderle dell'acqua. Onestamente ancora oggi non so se il mio metodo sia adatto o meno, ma su internet dicono che per far passare una sbronza è necessario bere molti liquidi, e io faccio quello che dice il web. Però cazzo, io davvero non voglio lamentarmi, ma perché ogni volta devo esserci sempre io quando si ubriaca? Anche quel giorno ero da sola, perché papà sarebbe tornato l'indomani e Francesco mi aveva detto che le lezioni all'Uni finivano alle sette.

Lei continuava a gemere e a lamentarsi. «La testaaaa» urlava all'improvviso, poi si calmava e chiudeva gli occhi come a voler cadere in un sonno profondo.

«Oh, non ti addormentare ancora, tieni,» le dissi porgendole il bicchiere d'acqua che avevo preparato, «bevi qua. Piano, a piccoli sorsi». Guardai il pavimento: come avrei fatto a ripulire tutto quel macello senza vomitare anch'io? «Ma mi spieghi perché almeno non hai aperto le finestre? Non si respira qui dentro, porca buttana

«Ooooh,» mi rimproverò lei, «no parolacce». Non si attaccò troppo alla mia imprecazione perché sapeva che, quando parlo in siciliano io, sono seriamente incazzata.

Aprii l'armadio in cui tenevamo tutte le cianfrusaglie e presi un paio di quotidiani. Poi, per gettare i giornali che sarebbero stati pregni di vomito, trovai una busta sul tavolo e la poggiai a terra, accanto alla macchia.

Iniziai a chinarmi e a passare un giornale e, mentre pulivo, riflettevo sulla situazione: ogni volta che accadeva una cosa del genere era come se la mia dignità non esistesse più. A diciassette anni dovevo pulire lo schifo che mia madre aveva cacciato da bocca dopo essersi ubriacata. Giuro che, se magari avesse avuto l'influenza, oltre a pulirle il pavimento le avrei anche preparato il brodo di pollo e l'avrei coccolata avvolgendola con una coperta, ma lì l'evento era ben diverso.

Sentii, dalla mia camera da letto, che qualcuno mi stava chiamando, e pregai che non fosse Lorenzo. Sapeva bene - così come Roberto - quale fosse il passato di mia madre, ma anche lui era convinto che ormai avesse smesso per sempre. Di certo non gliel'avrei detto, perché non avevo bisogno della compassione di nessuno. Comunque, sorpresa delle sorprese e fortuna delle fortune, a chiamarmi era proprio lui. Gli risposi con un secco «Lorenzodimmi», tutto attaccato e tutto veloce, sperando capisse che andavo di fretta.

«Oh, niente,» cominciò lui senza nemmeno salutarmi, «volevo sapere solo se potevo venire da te perché a stare a casa mi sto annoiando, e quindi...» continuò, prima di fermarsi. Mia madre sembrava un'indemoniata, in quel momento aveva iniziato a gemere e lamentarsi come se stesse morendo. Non che fosse un'ipotesi da escludere a priori, ma finché Lorenzo stava ascoltando tutto di certo non potevo andare a controllarla. «Oh, Di', ma che sono 'sti rumori?» disse, «chi si sente male?»

Pensai rapidamente a cosa rispondergli. «Ma cheee,» gli urlai, e per altri due millesimi di secondo cercai di trovare una vera scusa che fosse anche ragionevole. «I sutta avi na iatta che sta miagolando da un'ora, e ho le finestre aperte picchi fa caldo, quindi per forza la devo sentire», aggiunsi poi. Il mio pensiero, subito dopo aver finito di parlare, fu "ma che cazzo ho detto?". Da quando sotto casa mia c'erano gatti che miagolavano?

«Ah,» mi rispose lui in un tono che non lasciava spazio a dubbi, «per il resto va tutto bene?».

Certo che sì, amore mio. Sai, sono tornata a casa piena di ansia per gli esami, mi sono depressa perché ho capito che tu non mi amerai mai e poi, a dimostrazione del fatto che al peggio non c'è mai fine, sono andata in cucina e ho scoperto che mia madre ha ripreso a bere e si è sentita male mentre io dormivo. Va tutto benissimo!

«Ma sì, cammiti!» gli dissi seccata, e poi lo salutai con un «ni sintemu ropu» e gli attaccai il telefono in faccia, divorata dai sensi di colpa.

Tornata in cucina vidi che mia madre stava benissimo, e si potrebbe dire che fosse solo in vena di parlare a sproposito, più o meno. Avevo pulito poco e nulla, così mi inginocchiai e tornai a tentare di raccogliere i restanti pezzi di quella sostanza marroncina. Marroncina e schifosa, precisiamo.

«Ma',» le dissi, continuando a guardare il pavimento, «sul serio... perché l'hai fatto?»

«Insomma,» mi rispose lei, «dovevo... come? No-non ho capito».

«Non ho detto proprio niente, parla».

«Dovevo festeggiare!» disse, e poi scoppiò in una risata tanto rumorosa che sembrò coprire il tanfo di bile.

«Che dovevi festeggiare, me lo spieghi?» le chiesi io. Qualsiasi cosa fosse, di certo non giustificava il suo comportamento, perché ora che l'aveva rifatto ci sarebbe ricaduta di nuovo completamente.

«Il fratellinoo!»

«Ma quale fratellino, oh? Di che stai parlando?»

«Il tuo fratellino, bambina mia!»

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