Capitolo 20: Lorenzo

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Ally mi piaceva sempre di più, lo ammetto. Cioè, non era un piacermi alla "sono innamorato di lei", anche perché ero dell'avviso che non si potesse amare una persona di cui non si sa nulla. Eppure, non so, c'era un qualcosa, in quella persona, che mi faceva venir voglia di approfondire sempre di più la sua conoscenza. Non pensavo molto a chi potesse essere, in realtà. Dalla lista erano escluse Diana, perché lei non avrebbe mai fatto una cosa simile - sebbene avessi notato un atteggiamento leggermente strano, quando gliene parlavo - così come Michela, che era già iscritta a quel sito con nome e foto reali - sebbene avesse potuto benissimo creare un secondo account - e anche Melissa, semplicemente perché... beh, perché non credevo di essere il tipo di ragazzo che potesse far breccia nel cuore di una come lei, quindi quest'ipotesi l'avevo scartata. E poi non scordiamoci che Ally avrebbe benissimo potuto essere una ragazza con cui non avevo mai parlato, una vecchia amica delle elementari colta da un attacco di malinconia o magari un ragazzo che pensava - a ragione - di non avere possibilità con me. Chiunque lui/lei fosse, però, non volevo smettere di parlarci. Nulla mi vietava di instaurare una bella amicizia: lei diceva che le piacevo, ma io per ora non potevo dire lo stesso.

Ed erano proprio tutte queste mie congetture ciò a cui pensavo mentre camminavo verso casa di Diana con Roberto e Melissa. Quest'ultima era, ovviamente, silenziosa come sempre: sembrava davvero che non fosse insieme a noi, in quel momento, quanto piuttosto in un mondo mentale tutto suo, persa fra i pensieri di Dio solo sa cosa e le emozioni che quegli occhi spenti lasciavano raramente trasparire.

La strada per casa Cerullo non era molto lunga, ma per arrivarci dovevamo fare tutto un altro percorso rispetto a quello che di solito facevamo io e Roberto. Non avrei saputo dire dove abitasse Melissa, perché, da quando aveva cominciato a venire a scuola con noi, dopo le lezioni era sempre rimasta sui gradini del cortile fin quando non ce ne fossimo andati. Qualcuno la veniva a prendere? Camminava a piedi verso casa? Restava a scuola fino al mattino dopo? Chi poteva dirlo.

«Melissa?» disse Roberto mentre camminavamo. Lei non si girò né fece alcun cenno di aver compreso il suo nome, ma lui continuò lo stesso. «Ti posso fare una domanda? Come mai hai deciso di venire con noi?»

In quei momenti, a caso, iniziai a sentire la mancanza di Ally, che non mi rispondeva da quando eravamo in classe.

«Se è successo qualcosa,» sussurrò guardando rigorosamente in avanti, «voglio starle vicino. So che significa non avere nessuno accanto quando ne hai bisogno».

«Ma tu probabilmente non sai la storia di sua madre...»

«Non mi interessa,» ribatté lei con una calma disarmante. «Tanta gente non sa la storia di tanta gente,» continuò poi, «eppure ciò non gli vieta di provare a dare una mano, anche se poi non ci riescono mai». Il suo tono mi metteva i brividi, perché era palese che parlasse di lei, ma allo stesso tempo lo faceva in un modo che lasciava chiaramente intendere che ormai, per Melissa, quella fosse la normalità. Era cosa comune vedersi sempre gente intorno che provava ad aiutarla, aiutarla a superare non si sa bene cosa in non si sa bene che modo.

«Forse dovremmo parlartene» aggiunsi, e lei annuì.

«Lore, sei sicuro?» mi chiese Berto. Non lo ero, assolutamente, ma magari vedendo il nostro interesse a stringere un vero e proprio rapporto d'amicizia la ragazza avrebbe abbassato la guardia e sarebbe diventata meno diffidente.

«So che Diana vorrebbe che questa cosa non la sapesse praticamente nessuno, ma tu hai deciso di accompaganarci. Ti sei dimostrata molto più amica tu che tutti gli altri della classe, quindi è giusto renderti partecipe. E poi io mi fido di te, Meli,» dissi sorridendo, «anche se ci conosciamo da pochissimo so che non sei la tipa che va a raccontare i segreti degli altri in giro. E so che non mi sbaglio».

Lei fece un breve sorriso e continuò a camminare, guardando sempre in avanti.

«La mamma di Diana era un'alcolizzata...»

«Anch'io» rispose senza neanche farmi finire di parlare, quasi come avesse già saputo ciò che avrei detto. «Anch'io lo ero».

In che modo si risponde ad una cosa del genere? Non era una nostra amica, la conoscevamo da tre giorni e, dopo averci a stento rivolto la parola da quando aveva messo piede in classe, aveva deciso di aprirsi con noi in quel modo.

«Ora ne sei uscita, no?» le disse Roberto. «E' questo l'importante, siamo fieri di te».

«Sì,» confermai, «sì che lo siamo. Però, al contrario tuo, la madre di Diana probabilmente ci è ricaduta. Cioè, non sappiamo se lei c'entri qualcosa con quello che è successo stamattina. Abbiamo mandato un messaggio a Diana e non ci ha ancora risposto, ecco perché siamo preoccupati».

Ma perché neanche Ally non mi rispondeva? Che stava facendo?

«Perché» esclamò. Non era tanto un'esclamazione, in realtà, quanto più una domanda espressa come un'affermazione.

«Perché cosa? Perché ha ricominciato? Non lo sappiamo, la settimana scorsa ha scoperto di essere incinta e per festeggiare si è ubriacata di nuovo, dopo due anni».

«O almeno questo è quello che dice lei», aggiunsi io.

«Come?» chiese Roberto.

«Non lo so, Berto, sensazioni... secondo me c'è dell'altro sotto».

«Tipo cosa?» si intromise Melissa.

«Boh, però non è che è una cosa tanto normale festeggiare una gravidanza in quel modo. Secondo me quando uno si ubriaca lo fa perché è triste e vuole dimenticarsi dei problemi, no? Non perché ha appena scoperto che aspetta un bambino. Poi boh» spiegai, sperando di sbagliarmi. Nel frattempo Roberto stava riprovando a chiamare Diana, ma il telefono squillò a vuoto per quasi un minuto.

«Siamo quasi arrivati, Meli», annunciai. Lei non reagì in alcun modo alla notizia e continuò a camminare seguendo noi due.

Due erano i pensieri che mi balenavano per il cervello in quel momento: innanzitutto, perché Ally non mi rispondeva? E poi: stavamo facendo una buona cosa, portandoci Melissa per andare a trovare Mirella e Diana? E se avessimo assistito ad uno spettacolo peggiore di quello che ci aspettavamo?

Quando suonammo al citofono fu Francesco a risponderci. "Chi è?" chiese in tono apparentemente normale, e quando gli dissi che ero io accennò un "sali" molto più amichevole e poi aprì il cancello.

Guardando le scale che si palesavano davanti a me, capii subito che Roberto stava pensando la mia stessa cosa: non avremmo dovuto portarci anche Melissa.

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