Capitolo 21: Melissa

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Diana Cerullo era sdraiata a letto.

Quando la vidi lì, tanto profondamente addormentata da sembrare svenuta, cominciai a chiedermi perché avessi deciso di accompagnare quei ragazzi. In realtà sentivo qualcosa, in Mafia, che le altre persone non mi facevano sentire. E lo sentivo, seppur in modo diverso, anche in Lorenzo e Roberto, che erano ragazzi banalmente comuni. Eppure quei ragazzi comuni riuscivano a guardarmi diversamente da tutti gli altri. Erano i primi, i primi, a considerarmi come una normale ventenne, anziché come la pazza del paese. Non era, questo, certo sufficiente perché imparassi a lasciarmi andare, ma per la prima volta in vita mia inizavo a capire che se avessi voluto che le cose fossero andate meglio avrei solo dovuto fare un passo avanti. E quel mattino avevo deciso di farlo, autoinvitandomi.

«Dorme», sussurrò suo fratello a Lorenzo. Ci girammo tutti e tre e ci dirigemmo in soggiorno. Casa normale, anonima come tutte le altre di quella movimentata Milano. A quanto pareva, sua madre e suo padre non erano ancora tornati. Meglio così, non avrei sopportato troppi occhi puntati addosso.

«Che cazzo è successo, Fra?» gli chiese Roberto.

«Voi lo sapete che nostra madre è incinta, sì?» disse lui. La madre di Diana era incinta, ed era un'alcolizzata. E come lei lo era anche la madre di Lorenzo, quella donna che avevo visto con lui agli alcolisti anonimi un po' di anni prima. Forse, collegai, i due ragazzi erano diventati così amici proprio quel motivo tanto scontato, proprio perché l'uno sapeva cosa aveva passato l'altra.

Loro due annuirono, e io seguii il discorso guardando la loro bella credenza, che si trovava a destra di quel Francesco e che era l'unica cosa che davvero m'aveva colpito della casa.

«Voi sapete di quanti mesi è?» domandò, e io nel frattempo notai, gettando di tanto in tanto lo sguardo, che fissava particolarmente Lorenzo, quasi come si aspettasse che lui sapesse qualcosa in più di Roberto.

«Diana ha detto che non è nemmeno di un mese, perché?»

Quella conversazione era tanto strana quanto noiosa. Dove si era mai visto un ragazzo che deve chiedere agli amici di sua sorella per sapere di quanti mesi è incinta la propria madre?

«Eh no, minchia, altro che nemmeno un mese. Minchia» si alterò lui. Io, onestamente, non capivo nulla e iniziavo a pentirmi di essere venuta: era una famiglia troppo strana per i miei gusti.

«Che significa, France'? Dove sono loro adesso?»

«Papà l'ha portata in ospedale a controllarsi».

«Oh, France', qua non stiamo capendo un cazzo e siamo preoccupati come la merda. Ci spieghi che cazzo è successo?» si alterò Roberto. Non che approvassi le parolacce, ma anch'io avevo iniziato a sviluppare una certa curiosità nei confronti dell'evento.

«Berto, neanche io ci ho capito molto. Stamattina volevo dormire un po' di più perché non avevo lezione, poi verso le otto e quaranta mi sono svegliato perché la sentivo urlare e l'ho trovata, porca buttana, a fare la 'mmriacuna con la minchia di bottiglia in mano».

Sentii, seduta sul divano accanto ai due ragazzi, energia negativa che si propagava a dismisura. Brutti ricordi, ecco cosa. Anche io un tempo venivo trovata ubriaca con la bottiglia in mano. E forse avevo sbagliato a non aver ancora preso la pillola delle 13:00, ma ciononostante riuscii a capire, fissandoli con la mente che pensava a tutt'altro, che quella nuova notizia li aveva lasciati seriamente interdetti.

«Ma non era stata solo una cosa di una volta?» chiese Lorenzo.

«Non lo so, Lore», gli rispose. Che tipo strano, quel Francesco: minchia di qua e minchia di là e ora si era già calmato? «Io ho chiamato papà perché non sapevo che cazzo fare, lei stava delirando praticamente, e lui è venuto qua e ha detto che dovevano dirci la verità e non potevano più andare avanti così».

«Ma che...» dissero contemporaneamente Lorenzo e Roberto, poi il primo si fermò e il secondo continuò.

«Ma che cazzo significa, oh? Porca puttana, Fra».

«Melissa?» mi chiamò una voce. Diana era in piedi, sulla soglia della porta, e mi fissava sconvolta. Tentai di rivolgerle un breve sorriso, ma nel frattempo Lorenzo e Roberto avevano già coperto la visuale correndo ad abbracciarla.

«Madonna, come stai?» chiese uno dei due. Mi sentii invisibile, così estranea a quel momento di amicizia tanto intenso. Forse pretendevo troppo, eppure dopo una vita di esclusione devo ammettere che mi sarebbe piaciuto sentirmi parte di quel momento. Invece ero solo una sconosciuta, e andare con loro era stato un errore.

«Sto una merda, raga» disse lei mentre andava a sedersi su una sedia del tavolo del soggiorno. Francesco osservava la scena, e di tanto in tanto mi guardava. In altre circostanze mi sarei alzata e sarei andata via, ma ora no. Anche perché praticamente esistevo solo per lui, e la cosa mi ferì. «Melissa, tu che ci fai qui?» mi chiese poi sua sorella.

Dopo qualche secondo non avevo ancora risposto, e fu Roberto a spezzare il silenzio imbarazzante. «Era preoccupata come noi, voleva sapere che cazzo era successo».

«Davvero?» disse lei, e subito dopo mi guardò negli occhi e mi rivolse un grande sorriso. Io abbassai lo sguardo, imbarazzata, e annuii guardando il pavimento.

«Stai un po' meglio?» chiese Francesco subito dopo.

«Sì, dormire mi ha fatto bene, avevo la testa che mi scoppiava. Non sono ancora tornati?»

Non era strano che, ora, colei che si chiamava Mafia non stesse parlando nella lingua dei mafiosi? Era quasi come se, quando lo faceva, perdesse qualche secondo per tradurre mentalmente le parole. E allora perché si impegnava tanto, se non le veniva naturale parlare in dialetto?

«Non sono ancora tornati da dove?» insisté Lorenzo. I due fratelli Cerullo si guardarono e poi guardarono loro. Io, nel frattempo, ero ancora invisibile.

«Non lo so» disse lei. «Papà mi ha accompagnato a casa da scuola e ha detto che la portava in ospedale». Mi chiesi e continuai a chiedermi, ascoltandola, perché non stesse parlando per metà siciliano come faceva sempre.

«Ma perché in ospedale? C'entra qualcosa il bambino?»

Francesco annuì, e tutti si fermarono a guardarlo. «France', che minchia sai che io non so?»

Prima che lui iniziasse a parlare, un telefono in lontananza vibrò per un istante senza che nessuno se ne accorgesse. Se c'era un vantaggio dell'essere invisibile durante le conversazioni era sicuramente l'affinare i cinque sensi in modo spettacolare.

«Non so niente, però penso di aver capito».

«E parla, cazzo!» tuonò Roberto. Probabilmente usava quell'atteggiamento aggressivo per nascondere profonde insicurezze e segreti di cui nessuno sapeva nulla.

«Lo sai quanti cazzo di anni ha mamma?» disse lui a sua sorella.

«Quarantasei, perché? Che minchia c'entra quanti anni ha?»

«E oh, guarda che a quarantasei anni non è la cosa più facile del mondo fare un bambino, eh. Poi a me aveva detto che era incinta da un mese e mezzo, a te invece ha detto da nemmeno un mese».

Diana guardò Lorenzo e capì che probabilmente era stato lui a dirglielo.

«E quindi? Che vuoi dire?»

Nel frattempo provai a pensare a come, secondo me, stessero le cose: la mamma dei fratelli Mafia aveva ripreso il vizio di bere e, resasi conto che ciò avrebbe interferito con il buono sviluppo del suo bambino, aveva iniziato a mentire sulla gravidanza e a non dare dettagli precisi a nessuno. Era un atteggiamento che conoscevo benissimo, quello del mentire. Probabilmente pensava che nel giro di pochi giorni avrebbe smesso di bere e, quando si fosse accertata che il bambino non aveva subìto danni, avrebbe cominciato a dare dettagli più precisi. Non aveva, sicuramente, considerato neanche per un istante l'ipotesi che il bambino avesse davvero potuto rimanere danneggiato da tutto ciò.

«Diana,» disse lui, e la guardò negli occhi per qualche secondo. «C'è qualcosa che non va con questo bambino».


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