Capitolo 28: Lorenzo

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La notizia che, quel giorno, meno mi sarei aspettato, era che la mamma di Berto avesse scoperto tutto.

E ora come ci saremmo ripresi da questo? Io conoscevo poco Gemma, perché quando andavo a casa sua di solito ci limitavamo giusto a salutarci, però Berto mi raccontava spesso di lei, di che tipo fosse. E c'è da dire che il rapporto fra i signori Biggiani non era mai stato dei migliori, secondo quello che sapevo. Nel senso che spesso Berto veniva a casa mia per distrarsi perché, magari, i suoi avevano litigato, discusso e cose del genere. Però mai ricordavo che mi avesse parlato di divorzio o separazione. Quindi, avevo dedotto, i suoi genitori erano sì dei tipi fumantini, quei classici adulti che discutono anche se ci sono cinquanta centesimi in meno nel salvadanaio, però l'amore fra loro era una cosa presente sul serio, anche perché poi, i giorni dopo, i due facevano sempre pace e tornava sempre tutto come prima.

D'accordo, il tradimento in una coppia ci può stare. Non nel senso che vada bene tradirsi, ma nel senso che siamo umani, tutti commettiamo errori – io in primis, sicuramente – e quindi non mi andava di star lì a far la partaccia a suo padre, anche perché questa cosa la sapevo già da un po' di giorni e avevo quindi avuto tempo e modo di metabolizzarla. Però, cavolo, un conto era che lo avessi saputo io e un conto era che lo fosse venuto a scoprire sua madre. Cioè, sua moglie, la moglie del cornificatore.

Tutto ciò rimescolava le carte in tavola: avrebbero divorziato? Lei l'avrebbe perdonato? E, domanda più importante: dato che sicuramente era stato Roberto a far sì che sua madre vedesse il messaggio, perché l'aveva fatto? E infine, domandone delle domandone: perché Ally non mi aveva ancora scritto dicendomi che le mancavo?

«Sei stato tu a far vedere il telefono a tua madre?» gli chiesi. Non volevo assolutamente che suonasse come un rimprovero, una critica o qualsiasi cosa, era una semplice domanda. Anzi, forse anch'io al suo posto avrei fatto la stessa cosa. O forse no.

«Lore...» mi disse lui, guardandomi negli occhi. Abbassai lo sguardo – come fra l'altro facevo sempre quando qualcuno mi guardava diretto nei bulbi oculari – e capii subito.

«Eh, Berto, non fa niente, non importa, dai» lo consolai, e poi ci fu un attimo di silenzio. Mi aspettavo, in risposta, uno dei soliti commenti con parolacce e imprecazioni stile Berto, ma quella volta rimase muto. Tutta quella storia gli stava davvero facendo male. «Non importa, quel che è fatto è fatto, oh», ripresi. «L'importante è che ora cerchiamo di uscirne fuori al meglio, eh?» continuai, e lui mi guardò, poi annuì e abbassò lo sguardo. «Dai,» dissi, allargando le braccia seduto sul letto, «chi vuole un abbraccio?».

Lui mi guardò e mi chiamò di nuovo, questa volta un po' più allegro e accentando l'ultima lettera. «Lore'...»

«Dimmi».

«Guarda che non sono gay» esclamò tutto convinto, ed entrambi ridemmo per un po'.

«Oh, sei sempre il solito,» gli risposi mentre abbassavo le braccia. Aveva rifiutato un abbraccio, e di solito Roberto non rifiutava mai gli abbracci quando ne aveva veramente bisogno. Quindi, pensai, o stava meglio di quanto volesse far credere oppure si sentiva in colpa con me per qualcosa e aveva rifiutato per questo.

«Senti, posso stare da te fino a stasera? Lore, che cazzo, io non voglio tornare a casa...» disse poi. Aveva la voce spezzata, mi faceva tanta tenerezza.

«Ma tu puoi stare qua pure stanotte e domani, che scherzi?» gli risposi io. «Però secondo te è la soluzione migliore, far esplodere la bomba e poi scappare? Non sarebbe meglio tornare a casa e provare a calmare le acque?»

«Tu non la conosci a mia madre, Lore, secondo me stavolta andrà a finire veramente tutto una merda, credimi».

«Eh, ma io ti posso pure credere, Berto, però perché non provi tu a credere a me?» gli dissi. Mi mancava Ally, volevo parlare con lei. Quella ragazza stava diventando una vera dipendenza, ma Berto era pur sempre Berto, quindi continuai. «Rispondimi un attimo: i tuoi si amano?»

Annuì, con lo sguardo spento e rivolto verso il pavimento.

«Ecco qua, problema risolto».

«Ma che cazzo dici?» chiese lui, curioso e preoccupato.

«Dico che, se veramente si amano, di certo non si separeranno adesso per colpa di una tizia qualunque, o no?»

«Eh...».

Lo vedevo troppo spento, troppo cupo. Non ero un esperto di linguaggio del corpo, però sentivo che quel ragazzo dovesse dirmi qualcosa. O forse non dirmi, nel senso che forse non doveva dire nulla a me, ma aveva tipo un peso sullo stomaco, qualcosa che lo preoccupava.

«Vuoi che chiami Diana? Facciamo venire anche lei, che dici?» gli chiesi, rivolgendomi a lui nel modo in cui mi sarei rivolto ad un bambino per chiedergli se gli fosse andato di mangiare altri due bocconi di pappa.

«Ah? Boh, sì, fai bene, può essere che sia meglio, sì...».

Anche Diana sapeva della storia fra Alberto e quella che suo figlio chiamava la topa, quindi non ci fu bisogno di spiegarle molto: ci disse solo che ci avrebbe raggiunto appena le fosse stato possibile. Nel frattempo mia madre ci portò il caffè – sul vassoio, perché voleva darsi un tono – e io e Berto continuammo a parlare del più e del meno. E man mano che ci allontanavamo dall'argomento principale, dall'argomento bugie e segreti, il suo tono diventava sempre meno cupo e la sua faccia prendeva sempre più colore. Sì, avevo uno strano presentimento. C'era qualcosa che non andava, ed era qualcosa in più del semplice "amo Diana e lei non ama me".

Mentre lui cazzeggiava al cellulare, probabilmente tentando di distrarsi dall'affare di suo padre, io avevo riacceso il PC per controllare i messaggi. Per controllare i suoi messaggi, eh. Il suono della notifica del PC lo svegliò dal coma indotto dall'iPhone, e subito alzò la testa per leggere insieme a me.

Ally: Manchi un po', oh.

«Madonna santa, Lore,» tuonò, «ma quando cazzo ti decidi a incontrarla, a questa?»

Era vero: quando ci saremmo incontrati noi due? Da parte mia l'interesse, manco a dirlo, cresceva sempre di più, e secondo me stava crescendo anche da parte sua. Solo che lei accampava sempre scuse, scuse su scuse per evitare di vedermi o di dirmi qualcosa in più sul suo conto. Avevo provato in tutti modi a farle capire che non doveva assolutamente vergognarsi del proprio aspetto, a spiegarle che, di dettagli come quelli, a me non sarebbe importato, ma lei glissava e glissava. E quindi diventava sempre più chiaro che stesse nascondendo qualcosa.

Ally aveva un segreto, o forse più di uno, e io li avrei scoperti tutti.

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