Capitolo 3: Roberto

1K 64 4
                                    

Allora, qui qualcuno mi vuole male.

Io pensavo davvero di averla dimenticata, e poi ecco che la rivedo ed ecco che me ne innamoro di nuovo. Gesù, negli ultimi tempi sembravo proprio depresso, non mi riconoscevo più. Ma non è che ero depresso, giuro. Cioè, un po' sì, cazzo, lo ero, ma solo perché non sapevo come comportarmi e non volevo far star male nessuno. Diana e Lorenzo sono la mia famiglia, praticamente, e da quando siamo amici ho sempre fatto di tutto per proteggerli. Che pensiero profondo, mi sorprendo.

Comunque, se avessi dovuto dire che avevo perdonato me stesso per quello che era successo, credo che sarebbe stata una bugia, perché a volte ci pensavo ancora e mi sentivo ancora una merda. Provavo anche a giustificarmi in qualche modo, tra me e me: "eh, ma ero ubriaco", "eh, ma avevo fumato", "eh, ma sono un ragazzo ed è normale che voglia divertirmi", però i sensi di colpa avevano sempre la meglio. Era una situazione del cazzo, e ogni volta che pensavo a questa definizione mi scappava sempre una risatina, perché non esisteva frase più azzeccata.

Se mi sentivo in colpa perché ero innamorato di Michela? Certo. Se mi pentivo di aver fatto sesso con lei in vacanza? Un po'. Cioè, cazzo, no. Era pur sempre Michela, non so se mi spiego. Come avrei potuto pentirmi di averlo fatto con lei? Avrei preferito che fossimo entrambi single, questo sì, ma alla fine era successo lo stesso, e quindi non potevo stare a colpevolizzarmi per sempre.

O forse sì. Gesù, Lorenzo era il mio migliore amico da quando avevamo quattordici anni, come avevo potuto fargli una cosa del genere? Magari avrei dovuto dirglielo dall'inizio, però cazzo, io davvero mi chiedo quella come abbia fatto ad essere così cogliona. Tu scopi con un altro, ti fai una foto mentre sei ancora a letto con lui, e poi la mandi al tuo ragazzo? Capivo che avessimo fumato, ma penso che neanche il soffrire di un ritardo mentale avrebbe potuto giustificare un comportamento simile.

Lorenzo sapeva che, in estate, io e lei eravamo capitati per caso - e fu davvero un caso, giuro - in vacanza nello stesso villaggio, ma l'idea che quei capelli neri della foto potessero essere i miei credo non gli fosse balenata per la testa neanche per un secondo. E, in ogni caso, sicuramente pensava che se fossi stato io glielo avrei detto subito, e non due anni dopo, porca puttana.

«Mamma?» dissi entrando in cucina dopo aver posato lo zaino in cameretta. Lei stava preparando il pranzo, e nell'aria c'era odore di lenticchie, il mio piatto preferito. Orgasmoso.

«Berto, buongiorno!» mi sorrise dalla sua postazione, «com'è andato il primo giorno?»

Alla grande, oh! Michela non mi ha degnato di uno sguardo, non ho ancora avuto il coraggio di dire la verità a Lorenzo - né tantomeno a Diana - e, dulcis in fundo, quella Mafia continua a fare la depressa per lui.

Ma perché non capiva che i suoi sentimenti non erano ricambiati? Gesù, non era mica così difficile rendersene conto. Lei era una ragazza tutt'altro che brutta, tanto che in passato anch'io avevo avuto una cotta per lei, ma l'amore non funziona in questo modo. Se scatta, scatta, ed è bellissimo. Se no, lo prendi in culo. Un po' come lo prende Michela.

«Eh, bene dai, tanto ormai qua cominciavo ad annoiarmi, poi la classe mi mancava» le dissi, ed era vero.

«Hanno già iniziato con i discorsetti sugli esami di maturità? Io penso proprio di sì, eh?» disse mentre impiattava la sua rinomata pasta con le lenticchie, «comunque prendi posto che mangiamo, tanto siamo solo io e te ché papà torna oggi pomeriggio».

In quel momento sentii una cazzo di morsa al cuore. Papà non era al lavoro a farsi il culo, come probabilmente mia madre pensava, quanto chissà dove a farlo, il culo. A una tizia bionda non meglio identificata che due settimane prima gli aveva mandato su Whatsapp una foto in reggiseno. L'avevo vista per sbaglio, perché il suo telefono era in camera mia. Il mio primo pensiero era stato "che topa!", séguito subito dopo da "ma che cazzo ci fa questa sul telefono di papà?".

So che, pensando alla situazione da esterni, si potrebbe dire che se capitasse a noi diremmo subito la verità all'altro genitore, ma quando ti ritrovi a vivere la cosa capisci che è tutto diverso. Con quale coraggio avrei guardato negli occhi mia madre e le avrei detto che l'uomo con cui era sposata da vent'anni si faceva un'altra? So che non sembra, ma io ho dei sentimenti, e ho una grande integrità morale. Madonna santa, quanto avrei pestato quello stronzo. Nonostante tutto, però, avevo deciso di tenere la cosa per me, per usarla quando sarebbe stato necessario.

«Ah... Figa, va bene» dissi poco convinto. Mi sedetti al solito posto, e lei poggiò il mio piatto sulla tavola. Odorava di infanzia. E di lenticchie, ovviamente. «Ma quanto sei brava a cucinare, ma'?» la complimentai. Mi faceva sempre sentire meglio il fare commenti, seppur stupidi, che alzassero l'autostima di qualcuno, e anche se lei non amava particolarmente questo genere di cose, alla mia frase lo sguardo le si illuminò e mi rivolse un grande sorriso.

«E allora,» iniziò durante il pranzo, «che dicono Lorenzo e Diana degli esami? Temono?»

«Gesù, ma', ma hai capito quanto tempo manca? E su, dai, metti ansia» la rimproverai io. In momenti come quello mi rendevo conto di non essere stato adottato: anche il mio primo pensiero della giornata era stato sugli esami, così come sugli esami era stata la prima frase che avevo detto una volta entrato in classe. Avevo un'ansia fottuta, va bene, ma a casa volevo solo distrarmi. E poi avevo troppi cazzi per la testa in quel periodo, rischiavo seriamente di scoppiare.

«Berto, sentimi, tu lo sai che non ti ho mai voluto pressare,» disse. «A me non frega nulla del cento e lode, so bene che gli esami sono stressanti, quindi sappi che voglio che ti rilassi, e qualsiasi voto ci porterai lo accetteremo e ti diremo che siamo fieri di te». Fece una breve pausa, e io la guardai contento. «Perché lo siamo davvero, ovviamente».

Dimmi che esistiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora