Capitolo 29: Diana

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Una parte fondamentale dell'avere un'alcolista in casa è, sicuramente, l'imparare a convivere con la serenità artificiale.

Ci si può svegliare da un sonnellino pomeridiano e trovare la propria madre riversa a terra, in una pozza di vomito, che ti annuncia di essere incinta. Si può scoprire che i propri genitori stanno nascondendo qualcosa, qualcosa su quel bambino, e far comunque finta di nulla.

La vita in casa mia scorreva tranquilla, in quelle settimane. A me sembrava di camminare in bilico sul ciglio di un burrone, ma forse ero l'unica a vederla così. Papà era tranquillo, Francesco passava le giornate fra i libri, gli amici e il cellulare, e mamma... beh, mamma era quella di sempre. La solita finta tonta, la solita donna che fingeva tutto andasse bene anche se aveva ricominciato a bere.

Non avevamo più parlato di tutto quello che era successo qualche tempo prima. In fondo non era mica una cosa così grave: i miei genitori nascondevano qualcosa che non volevano assolutamente dirci, ma c'erano cose peggiori. Tipo, c'erano quelli che i genitori non li avevano proprio. Io invece li avevo, ed ero fortunata. La pensavo così perché questo era ciò che mi aveva detto la psicologa da cui mi avevano mandato i miei a tredici anni, sotto consiglio dei prof, quando nel tema degli esami di terza media avevo spiegato che mi sarebbe piaciuto diventare Capo di Stato per promulgare una legge che mandasse in galera tutti i genitori che avessero il vizio di bere. Ovviamente le sedute si erano limitate a due o tre, perché i miei genitori non potevano certo spendere ben venti euro a settimana per queste sciocchezze. Sì, mia mamma ne spendeva trecento in alcolici, ma quella era un'altra storia. Lei poteva spendere ciò che voleva, bere quanto voleva, rimaneva sempre mia madre. Ed io ero fortunata, perché molte persone i genitori non li avevano proprio. Ero fortunata.

Non ero mai riuscita ad aprirmi più di tanto con lei e con mio padre. Mai gli avevo confidato, ad esempio, delle diete da 100 calorie al giorno che andavano a mesi alterni, del fatto che a volte quella bottiglia gliel'avrei spaccata in testa, o anche solo del mio sentirmi la persona più brutta e inutile sulla faccia della terra, indegna dell'amore di un essere umano. E' incredibile quanto una brutta situazione familiare possa influenzare una persona.

A volte mi veniva voglia di abbandonare tutto. Non letteralmente, però. Non contemplavo mai l'idea del suicidio per più di un secondo, specie perché l'idea di soffrire mi terrorizzava. Però mi sentivo così sopraffatta, così impotente, che spesso mi veniva davvero voglia di prendere un treno e tornare a Palermo. Certo, sarebbe stato un viaggio di quindici ore, un viaggio che mi avrebbe portato in una città in cui gli unici parenti che un tempo conoscevo erano tutti al cimitero, ma forse anche solo salire su quel treno e poi tornare a Milano sarebbe stato, per me, come assumere un calmante.

Era una pazzia, ma tanto quale sarebbe stato il problema? In fin dei conti la mia famiglia era la famiglia delle pazzie. La famiglia dei segreti nascosti, di una figlia che non riusciva a chiedere apertamente a sua madre come stesse il bimbo che portava in grembo e di un padre che si sarebbe tagliato una mano, pur di non ammettere che sua moglie era tornata ad essere un'alcolista.

La serenità che si respirava in casa Cerullo era una serenità artificiale, di vetro. E più tempo passava senza che nessuno dicesse la verità, più sentivo che lo scoppiare del vetro avrebbe fatto male e provocato danni. L'unica cosa a cui potevo aggrapparmi erano i due migliori che Dio aveva deciso di darmi, anche se poi aveva fatto sì che mi innamorassi di uno di loro. Mi veniva da vomitare se pensavo ai segreti che, anche loro due, si nascondevano senza volerlo. Berto non voleva dire a Lorenzo che era innamorato di Michela e ci aveva fatto l'amore, e Lorenzo non voleva dire a noi due che si stava innamorando seriamente di quella Ally. Si stava innamorando di un fake, il ragazzo, di una persona della quale non sapeva nulla. Non credo che molti ci sarebbero potuti riuscire, ma lui sì: era sempre stato un ragazzo speciale, senisibile, il tipo che ricercava affetto dovunque lo trovasse. Evidentemente ne aveva trovato un po' in lei, ma quella storia non sarebbe potuta finire in nessun modo se non male.

Sapevo che quella ragazza nascondeva qualcosa, sapevo che non era tutto così semplice come appariva, eppure fingevo di ignorare i segnali. Fingevo di non rendermi conto di tutte quelle cose che, messe insieme, avrebbero formato un quadro chiaro. Fingevo di essere, in pubblico, contenta per il mio miglior amico. E quel giorno, mentre camminavo verso casa Proietti per star vicina a Berto, non riuscivo a smettere di pensare a tutto ciò. Perché, per lui, anche un fake al pc era meglio di una persona che lo conosceva da una vita ed era in carne e ossa? Perché...

L'iPhone che avevo in tasca vibrò, e i Twenty One Pilots - insieme a tutte le mie domande - tacquero per un attimo per far spazio al suono che annunciava l'arrivo di un messaggio Whatsapp.

1 messaggio da Roberto: Oh

1 messaggio da Roberto: Quando verrai qui ricordati che Lorenzo sa che io ti amo e per questo sto un po' di merda, a parte la questione delle corna ovviamente. Mi raccomando non mi far sgamare!!!! E non dire niente di M!! Ti voglio bene Mafia...

Altre bugie che dovevano aggiungersi alle bugie. Ma non sarebbe stato più facile dire la verità e accettare quello che sarebbe successo dopo? Di questo passo, quando Lorenzo avrebbe scoperto la verità si sarebbe arrabbiato ancora di più. E sarebbe stato peggio, e il gruppo si sarebbe lacerato, e io mi sarei sentita ancora più inutile, ancora più sola e ancora più inutile. Chissà cosa faceva mia madre in quel momento, mentre io andavo a cercar di sistemare un'altra crisi familiare, come se avessi potuto essere una brava consulente su questo argomento.

Nuovo messaggio Whatsapp: Berto, non mi mettere nei guai. Lo sai che ti supporto, però cerchiamo di non peggiorare ancora di più la situazione... va bene comunque, dalla mia bocca non uscirà niente... ti voglio bene anch'io.

Quel pomeriggio fu carino, alla fine. Parlammo, ci confrontammo, tentammo di mettere la pace. Imparammo a conoscerci di più, e Lorenzo continuò a cercare di far sedere vicini me e Berto, finché non me ne andai. Chiacchierammo di Ally, di Michela, del più e del meno, della scuola. In momenti come quelli mi sentivo fortunata ad aver un gruppo di amici con cui fossi così a mio agio, ma l'elefante nella stanza non poteva essere ignorato ancora a lungo. Col passare del tempo avrei inevitabilmente finito per rivelare, involontariamente, tutti i segreti di cui ero custode, a meno che i due non si fossero chiariti prima.


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