Capitolo 23: Roberto

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La madre di Mafia ci stava nascondendo qualcosa, e ormai era più che chiaro. Seduti in soggiorno, nessuno di noi quattro apriva bocca da trenta minuti buoni. I suoi genitori – i signori Mafia Senior, come a volte li chiamavo – avevano detto che stavano tornando. Ma dove cazzo erano, ora?

«Oh, comunque... cioè, stanno tornando, dai» dissi per incoraggiarli.

Mafia alzò lo sguardo dopo aver passato un'eternità di tempo a fissarsi le ciabatte. Intanto l'altro Mafia se n'era andato in camera sua, a studiare. Cioè, secondo me voleva solo allontanarsi da noi perché gli stavamo sul cazzo, ma non è detto che io abbia ragione.

«Non volete tornare a casa, voi? E' tardi» disse lei. Ci stava cacciando, praticamente?

«Oh, Di', ma che dici?» le rispose Lorenzo, «noi stiamo qua fino a stasera, e pure dopo».

Nel frattempo Melissa continuava a fissare intensamente il televisore del soggiorno. Era come un fantasma, insomma. Mi spaventava troppo quella ragazza: cioè, era bella, perché lo era davvero. Era pure interessante, ma quando rimaneva zitta a fissare cose a caso per un lungo periodo di tempo mi saliva sempre la paura che all'improvviso le sarebbe venuta una crisi di nervi e avrebbe cominciato a buttare tutto per aria. In effetti sarebbe stata una cosa figa, se fatta a scuola, ma di certo non doveva accadere a casa Cerullo, soprattutto durante quella giornata.

«Ma Melissa? Non deve tornare a casa dai suoi?» chiese lei, più a noi due che all'amica. La killer abbassò lo sguardo, lo rialzò e, continuando a fissare quella cazzo di televisione, rispose dolcemente.

«Ho quasi vent'anni, faccio quello che voglio».

Che tosta che era. Proprio da prendere e sbattere al muro, se non fosse stato che magari poi sarebbe stata lei a sbattere al muro me. Per uccidermi.

«Ah, bello!» disse Lorenzo, e si rese conto di aver detto una cazzata. «Cioè...» ricominciò, ma quando non riuscì a trovare un luogo comune adatto per rimediare alla gaffe rimase zitto e tentò di avvicinarsi a Diana per abbracciarla.

«Ti voglio bene, Lore» disse lei.

Non è vero, tu lo ami pensai.

Lui la strinse ancora e gemette. Non in modo sessuale, eh. O almeno credo. «Ti voglio bene anch'io, troppo» aggiunse poi.

Non è vero, tu vuoi più bene a Michela e alla tizia che ti chiama caciotto pensai.

Il cellulare mi vibrò in tasca. Papà mi chiedeva dov'ero, in un messaggio.

Che cazzo ti frega, tanto tu sei a scoparti la biondina pensai, e posai il telefono senza cagarlo minimamente.

Alla fine quelle ore non furono troppo una rottura di palle. A me piaceva tanto passare tempo da solo con i miei migliori amici. Quel giorno c'erano pure Melissa e Francesco, sì, ma tanto una era in coma con gli occhi aperti e l'altro era in camera a studiare - o a dormire, visto che aveva la porta chiusa da ore.

Cucinammo un pranzetto da leccarsi i baffi, tutti insieme: caffè lungo e bustine di zucchero. Diciamo che non eravamo poi questi grandi chef, insomma, e quindi ammazzammo le ore d'ansia e di attesa guardando la televisione – seguendo l'esempio di Melissa, che aveva iniziato a guardarla già quand'era spenta – parlando e giocando. Eppure, Gesù, era una situazione di merda. Quali notizie potevano mai portarci i signori Mafia? Di certo non andava tutto benissimo, di certo il bambino non era perfetto e di certo la madre ormai non era più un'ex-alcolista. Era di nuovo un'alcolista, ed era ufficiale. Quelle potevano davvero essere le ultime ore di spensieratezza che Mafia avrebbe passato. Nel giro di poco magari avremmo saputo che il bambino era morto, forse perché la madre beveva come una dannata, o che era, boh, malformato? Non lo so, poteva essere?

Guardavo Mafia sorridere alle battute di Lorenzo e tentare di includere Melissa nel discorso, e contemporaneamente pensavo a quanto fosse forte questa ragazza col soprannome idiota. Perché lei lo era davvero, eh. Io sapevo tutti i suoi complessi, sapevo che non si piaceva. Sapevo che quando dovevamo andare al mare in treno era sempre una lotta perché si vergognava delle smagliature che aveva e tentava di accampare scuse su scuse. Ma lei era ancora qui, a diciassette anni. Era sopravvissuta a tutte le schifezze. Aveva superato una madre alcolista, un padre assente, un trasferimento che praticamente era in un altro stato, viste le differenze fra Sicilia e Lombardia. E continuava a sopportare il fatto che Lorenzo, senza manco saperlo, le spezzasse il cuore ogni volta che parlava di Michela. Continuava pure a darmi consigli, a starmi vicino, a cercare di mettere una parola buona affinché perdonassi il puttaniere di mio padre, fin da quando gliene avevo parlato qualche giorno prima in classe. Non sono mai stato un tipo sdolcinato – o forse sì? – ma in quei minuti avevo le lacrime agli occhi. Lei non meritava quello che le era successo, e ora che aveva un'occasione per essere felice con un fratellino, c'era ancora qualche problema. Che cazzo, era proprio una sfigata. Ma era la mia migliore amica, e non mi piaceva che lo fosse. Doveva star bene.

«Ally chiede dove sono», sentii Lorenzo dire. Quella tipa mi aveva ufficialmente spaccato i coglioni.

«Che le rispondi?» chiese Mafia.

«Niente, dico che sono da un'amica così magari si ingelosisce».

«Ma sai chi è?» domandò una voce. Non era Mafia, non ero io. Capii solo dopo qualche secondo che Melissa – che ovviamente guardava ancora la televisione – si era intromessa nel discorso. Fu un sollievo, anche perché iniziavo seriamente ad avere paura che fosse andata in coma.

«No, figa, so solo che anche lei è di Milano» rispose lui. Insomma, questo sì che restringeva il cerchio, giusto?

«E se è un fake?» chiese ancora. Era la classica tipa che parlava una volta ogni cent'anni, ma che quando lo faceva diceva sempre le cose giuste.

«Eh,» sospirò Lore, «se è un fake...»

«...lo prende in culo», mi intromisi io, rivolgendo lo sguardo verso di lei. La tipa fece un'espressione che non riuscii a comprendere a pieno: poteva essere un sorrisino, o una faccia schifata perché aveva preso alla lettera le mie parole e stava immaginando la scena.

«E dai, stronzo», rise lui. «No, niente, se è un fake bella, tanti saluti e ognuno va per la sua strada».

Diana si lasciò sfuggire un'espressione speranzosa, forse perché credeva davvero che questa tizia sarebbe stata solo un pedofilo di passaggio.

Melissa girò la testa e guardò Lorenzo. Cioè, guardò il mobile dietro Lorenzo, ma insomma.

«E se poi te ne innamori?» disse.

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