Capitolo 9: Roberto

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Lasciatemi spiegare perché accettai di andare a casa di Michela.

Innanzitutto, era pur sempre Michela. E, insomma, era una porca. In secondo luogo, non era scritto da nessuna parte che volesse per forza fare sesso: per quanto ne sapevo poteva avere semplicemente bisogno di una mano a montare la lavatrice. Certo, io avrei preferito montare lei, ma quello era un segreto.

Mi incamminai a piedi, verso le venti, con lo zaino sulle spalle. Dentro non c'era nulla di particolare: lo avevo svuotato di tutti i libri, e ci avevo messo solo due birre Peroni che avevo trovato in frigo e una bottiglia di vodka fragola e panna che conservavo da un po'. A mia madre avevo detto che sarei andato da Lorenzo, e forse ci avrei anche dormito.

Avrei sicuramente potuto fermarmi in farmacia per comprare dei preservativi - o al sexy shop per comprare delle manette - ma non credevo che le serata avrebbe preso quella direzione. In ogni caso, ero convinto e straconvinto che io non avrei preso l'iniziativa per nessun motivo al mondo. Ma se lo facesse lei?, mi chiedevo. Beh, in quel caso, sarebbero stati cazzi. Letteralmente e metaforicamente, cazzi.

Quando aprì la porta, capii subito che in casa non c'era nessuno. Lei mi guardò lo zaino e si stranì.

«Guarda che non ti ho invitato qui per studiare», mi disse. Probabilmente qualcuno avrebbe solo pensato che fosse stata maleducata a non salutarmi, ma io non potei fare a meno di limitarmi a cogliere la probabile allusione sessuale contenuta in quelle parole.

«Buonasera, eh!» dissi io. Nel frattempo lei aveva indietreggiato e io avevo definitivamente messo piede in casa: conoscevo abbastanza bene il posto, in fin dei conti ci ero stato parecchie volte durante gli anni di liceo, per le feste o per i gruppi di studio. Carino, figo.

«Siamo da soli?» chiesi retoricamente guardandomi intorno. Ero certo che lo fossimo, ma volevo tentare di capire il tono della sua risposta.

«Sì,» confermò, «i miei sono andati in crociera e tornano dopodomani.»

In quel momento mi maledii per non essere in grado di decifrare i messaggi nascosti nella voce femminile, cazzo. Però, da quanto avevo capito, più che essere triste era stranamente felice del fatto che i suoi non fossero in casa. Ma era felice perché non sarebbero stati nei paraggi a romperle i maroni, o lo era forse perché così poteva portarsi i ragazzi a casa e trombarseli in tranquillità?

«Che c'è nello zaino?» insistette. Dio, quanto rompeva. Ma Dio, quanto era bella.

«Ho portato un paio di birrette e un po' di vodka. Così, giusto per rilassarci un po'» dissi mentre lei mi chiudeva la porta alle spalle.

«Ah,» fece, girandosi verso di me, «ottima idea! Lo dico io, che sei un animale da festa».

Quel complimento, tanto delicato quanto mirato, mi fece sciogliere definitivamente. Devo ammettere che, entrato in casa da neanche un minuto, mi ero già pentito di non aver comprato i preservativi. E le manette. E di essere entrato in casa.

Appoggiai lo zaino sul pavimento e, inginocchiatomi, lo aprii tirando fuori le bottiglie di birra.

«Dammele, le metto sul tavolo».

«Va bene» dissi io, come se fosse stato necessario metterle sul tavolo prima di poterle aprire, e poi la curiosità mi impedì di tenere ancora a freno la bocca. «Ma come mai mi hai invitato, oh?»

«Mh...» cominciò lei. Probabilmente mi aveva invitato per scoparmi e ora stava cercando una scusa che non la facesse sembrare troppo zoccola - o almeno questo era quello che mi piaceva pensare. «Non lo so, ero da sola e mi annoiavo, poi ho pensato che ultimamente il nostro rapporto si è un po' raffreddato, e quindi... O sbaglio?»

"Dipende: a che tipo di rapporto ti riferisci?" le avrei risposto in altre circostanze, e poi le avrei dato il cinque e mi sarei messo a ridere. E poi l'avremmo fatto. Invece, quella sera, decisi di andarci con i piedi di piombo.

«E oh, dopo quello che è successo vorrei ben dire», le risposi.

Quella frase fece scendere tipo un velo di malinconia, fra noi. Due secondi dopo aver posato una birra sul tavolo, la aprì e iniziò a scolarsela tutta bevendo dalla bottiglia. Io risi e mi avvicinai a lei.

«Ottimo modo per combattere la noia, oh» e quando finii di parlare avevo già aperto l'altra bottiglia, pronto anch'io per ubriacarmi.

Non ho mai retto particolarmente bene l'alcol. Cioè, né bene né male, in fin dei conti. Semplicemente, come tutti i diciottenni, scolarsi una birra e una bottiglia di vodka per me equivale a comprare un biglietto per il paese delle meraviglie. Solo che, negli ultimi tempi, tendevo ad evitare di ubriacarmi insieme a Lorenzo, perché avevo troppa paura di confessargli qualcosa per sbaglio. Sicuramente gli avrei detto la verità, prima o poi, ma non sotto l'effetto dell'alcol, per carità.

Dopo venti minuti, comunque, manco a dirlo eravamo già belli che andati. La mia birra era finita e la sua era a metà, e della vodka non rimaneva neanche più la bottiglia. Ci sedemmo sul divano ai lati opposti, e ci sistemammo in modo di avere l'uno i piedi accanto al corpo dell'altra. Mi ero tolto le scarpe - e fortuna che avevo fatto la doccia, prima di partire - e avevo pensato che, se fossi stato anche feticista, per me quello sarebbe stato proprio il paradiso.

Michela regge l'alcol molto peggio di me. Il lato positivo del conoscerla da diversi anni - ed essere andato in vacanza con lei - è che capisco quando è davvero andata e quando sta fingendo. Quella sera non era di certo in coma, ma guardandola in faccia mi rendevo conto che pian piano stava perdendo i freni inibitori. Giuro che era bellissima, sul serio. Cioè, io non sono il tipo da complimenti smielati all'improvviso, o il tipo che dice "sei bellissima" come fosse acqua. Faccio i miei famosi complimenti alza-autostima, sì, ma li faccio a mia madre, a Lorenzo e al massimo a Diana, mica a tutti. Infatti non le avrei mai detto in faccia cosa pensavo di lei, perché ammetterle che la trovavo stupenda era come ammetterle che ero venuto lì aspettandomi una cosa che in realtà non mi aspettavo. Sicuramente mi sarebbe piaciuto, ma il fantasma di Lorenzo era troppo grande per poter essere ignorato. Minchia, che metafora perfetta, dovrei proprio fare lo scrittore. Sempre se questa era una metafora e non una similitudine, eh. Io che ne so.

«Tieni» mi disse dopo un po', e mi lanciò il cellulare esattamente sui coglioni. Sorrisi per evitare di piangere a causa della botta e accolsi il suo dono.

«Ci devo fare qualcosa in particolare? O era solo un modo carino per darmi una martellata sulle palle?»

Lei iniziò a ridere, e poi rise ancora. Capii che non aveva intenzione di rispondermi, così stetti al gioco e le lanciai il mio.

Avevo in mano il cellulare della ragazza che amavo, della ragazza con cui avevo fatto l'amore per la prima volta. Era un po' come entrare nel suo mondo, fra quello sfondo col mare e tutte le applicazioni per modificare le foto. Avrei potuto fare... cazzo, è inutile fingere, stavo morendo dalla voglia di aprire Whatsapp.

All'improvviso, comunque, lei rise e mi rilanciò il telefono stando ben attenta a non scoglionarmi di nuovo.

«Che c'è da ridere, oh?» chiesi, poi notai che aveva aperto Whatsapp. «Ma che cazzo hai scritto?» le domandai, ma in realtà non ero arrabbiato. Ridendo tentai di leggere quel messaggio incomprensibile inviato a Lorenzo. «sd... sdivf... sdivfhd... ma che lingua è?» risi.

«Così pensa che sei ubriaco» mi spiegò prima di scoppiare in un'ennesima rumorosa risata. Ci stavamo divertendo, sì.

«Ora la paghi». Presi il suo telefono e scrissi un lungo "oooo" a Lorenzo. Appena ebbi inviato il messaggio, lei mi guardò e me lo strappò via dalle mani, arrabbiata.

«Ma che cazzo hai fatto? Dio beduino,» bestemmiò, «ma sei impazzito?»

Ebbi la netta e schifosa sensazione di aver rovinato tutto, e contemporaneamente mi chiesi cosa cazzo avessi fatto di così sbagliato.

«Porca puttana, adesso chissà che cazzo di film si fa!»

«Ma chi, Lorenzo? Oh, ma sta' tranquilla, capirà che era uno scherzo» tentai di rassicurarla, ma prima che me ne rendessi conto era scoppiata in un pianto inconsolabile dettato forse dalla vodka e forse dall'amore.

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