3 • Ma Da Quale Mondo Arrivi?

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Ho resistito per ben tre giorni rinchiuso nel mio quartiere

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Ho resistito per ben tre giorni rinchiuso nel mio quartiere. Poi, anche se la ferita al viso non era ancora un belvedere, ho infilato una felpa, alzato il cappuccio sulla testa e preso la moto per concedermi un giro. Un giro ovunque, ma là fuori.

Alla fine, considerate le strade poco affollate per via della gente che probabilmente si è già chiusa in casa a cenare, scendo dalla moto e mi concedo una passeggiata per le vie costellate di casette a schiera dall'aria ordinaria ma benestante, con tanto di piantine sui davanzali delle finestre. Se mi capita di incrociare qualcuno abbasso il viso e mi tiro ancora di più il cappuccio sulla faccia, se sono da solo osservo le luci accese nelle abitazioni e provo a immaginare cosa succede lì dentro.

Provo a immaginare famiglie tradizionali che sfornano carne di prima qualità e patate al forno, che assaporano pasti caldi e gustosi mentre si raccontano le loro giornate -giornate che non sono contaminate da pugni, sangue o armi da fuoco- e che subito dopo si spostano in un salotto pieno di foto a guardare un film prima di andare tutti a letto e riposare, pronti al loro risveglio a ricominciare tutto da capo.

Non ricordo bene quando sono diventato il tipo di persona che perde tempo a fantasticare su questo genere di cazzate, forse è stato quando ho iniziato a leggere. O forse quando ho preso l'abitudine di venire qui per osservare la vita degli altri.

O forse è solo che, non avendo nulla di così entusiasmante e concreto con cui riempire la mente -o magari stanco di riempirla con ricordi al retrogusto di incubi- ho cominciato a ficcarci dentro cose che non esistono.

Delle volte devo semplicemente staccare da ciò che sono, credo.

E alleggerire il peso del vuoto.

Un ragazzo imbocca il vicolo poco illuminato in cui sto camminando, e io mi affretto a distogliere lo sguardo dal cielo e dallo spicchio di luna che stavo osservando e abbasso di nuovo il capo. Non incrocio mai lo sguardo delle persone in città, non voglio vedere come mi guardano ma mi chiedo sempre se capiscono che non appartengo a questa zona. Se qualcosa di me, anche quando non ho lividi evidenti sulla pelle, gli suggerisce chi sono. Non so se mi guardano con compassione, o con interesse, o persino spaventati. Se...

Nel passarmi accanto, il ragazzo mi dà una spallata, forte, e questo mi fa sollevare di scatto la testa e mette i miei sensi in allerta. Aspetto che si scusi, ma il suo sorriso astuto mi fa capire che lo ha fatto apposta.

«Dammi il portafoglio» intima.

Un portafoglio? Sì, come no. Tutt'al più nella tasca destra dei jeans ci troverebbe un paio di banconote sgualcite.

Restituisco un sorriso divertito a questo ragazzino che non avrà neanche vent'anni, e intanto squadro la sua faccia da sbruffone. Non fa parte della mia gente, ma non appartiene neppure a questi quartieri benestanti. Sarà venuto qui a rubare qualcosa, magari per comprarsi della droga o delle sigarette.

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