38 • Dalla Parte Sbagliata Del Mondo

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Un'ora prima

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Un'ora prima.

Per essere un ragazzo che per la maggior parte della sua vita è andato incontro a ben pochi maremoti emotivi e cambiamenti, nell'ultimo periodo ne stavo affrontando così tanti che mi girava la testa.

Il livello di stress accumulato, potrebbe benissimo farmi svegliare da un giorno all'altro con i capelli completamente bianchi o con le rughe intorno agli occhi, per la miseria.

Proprio adesso che cominciavo a guardarmi allo specchio con occhi diversi; proprio adesso che davanti a quello specchio ci sprecavo cinque minuti in più, nel darmi una sistemata prima di uscire, e tutto soltanto perché Skye mi aveva confessato che per lei ero bello.

Anzi, non soltanto bello, ma l'uomo più bello che avesse mai visto.

Dio, quanto mi avevano fatto tremare dentro le sue parole. Ogni cellula aveva vibrato come i palazzi durante un terremoto.

Ad ogni modo, tornando al pandemonio in cui si era trasformata la mia esistenza, dopo la spiacevole chiacchierata coi Rowan -sì, proprio quella in cui mi ero licenziato- stavo evitando la mia famiglia più che potevo. In compenso, dato che mi servivano i soldi, avevo chiamato il mio vecchio contatto che gestiva i combattimenti illegali, chiedendogli di farmi rientrare nel giro.

Dato che mi ha assicurato che mi avrebbe trovato presto qualcosa, oggi sono venuto nella palestra abbandonata del mio quartiere per tirare un paio di pugni contro il sacco.

Riesco a sfogarmi soltanto per pochi minuti prima che qualcosa catturi la mia attenzione, distraendomi.

Tobias entra dalla porta che ho lasciato socchiusa, e va a sedersi sul materassino senza dire niente.

Mi lancia delle occhiate agitate, e subito dopo si fissa le mani. Sembra nervoso, e immagino che voglia parlarmi delle scelte che ho preso nelle ultime ore e, di conseguenza, litigare di brutto.

Provo a ignorarlo, ma la sua agitazione è così contagiosa che a un certo punto preferisco affrontarlo.

«Cosa vuoi?» sbotto, scontroso.

«Cristo, sta' calmo. Io non ho detto niente».

«Ma mi guardi come se volessi dire molte cose».

Si massaggia per un lungo istante le tempie, poi guarda di nuovo altrove. Infine infila la mano nella tasca dei jeans, e tira fuori un cellulare.

Il mio cellulare.

È da stamattina che lo cerco.

Lo afferro con rabbia. «Perché ce l'hai tu?»

«Devi averlo perso, sono venuto a restituirtelo».

Il mio sistema di allarme interiore mi mette subito sull'attenti.

«Come posso averlo perso in casa mia? E, soprattutto, come puoi averlo trovato tu?»

«Non l'ho trovato io. Ce lo aveva Ezra».

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