Dicono che il tempo aiuta ad alleviare il dolore.
Dicono che i primi giorni sono quelli più difficili.
Ne sono passati cinque, di giorni, e per il momento sono sopravvissuto.
A quanto pare, dopotutto, sono ancora bravo a sopravvivere. Nonostante, sempre più spesso ormai, mi chieda a che serva di preciso. Quale sia lo scopo finale, il premio, la ricompensa.
Per depistare queste riflessioni amare, oggi voglio farmi un regalo.
Un nuovo tatuaggio.
Perché ho deciso che voglio il suo nome scritto sulla pelle.
Lo voglio inciso proprio sopra il mio cazzo di cuore.
L'idea che di lei non ne resti alcuna traccia, mi provoca un malessere interiore che non so spiegare a parole.
Eppure lo so che è impossibile che la dimentichi; lo so che non smetterà di tormentarmi i pensieri tanto presto. Forse mai.
Che sarà come quelle cose che hai sempre desiderato, ma per cui non hai mai avuto il coraggio di lottare. E adesso il rimpianto mi perseguiterà in ogni istante in cui mi fermerò, perché non posso correre costantemente per tenere lontani i brutti pensieri dalla testa.
Ad ogni modo, il suo ricordo non mi basta. Voglio una traccia più concreta di lei, e la voglio proprio sotto agli occhi, ogni giorno.
E così finisco per trascorrere il pomeriggio in un vecchio studio di tatuaggi di una zona malfamata di Detroit, aspettando che si esauriscano i clienti e che arrivi il mio turno.
È ora di cena quando finalmente Joshua mi fa stendere sul lettino, dopo aver abbozzato in una calligrafia nemmeno troppo elegante il suo nome in un foglietto.
Ma tanto non mi importa neppure che sia bello, o che sia perfetto. Voglio quella traccia indelebile sulla pelle e basta. E poi, qualcosa di perfetto su di me stonerebbe da morire.
Con il ronzio dell'ago nelle orecchie, e il petto trafitto dal dolore che Joshua mi sta provocando, finisco per immaginare la vita che mi aspetta nei prossimi anni. Finisco per immaginarmi giusto un po' più vecchio, con un appartamento tutto mio nello stesso palazzo di Zane e Monique, e una nuova donna accanto. La stessa che diventerà la madre dei miei figli, in tutta probabilità.
Non provo alcun tipo di entusiasmo a quell'idea, ma so che sarà il mio destino perché dalle mie parti quello è il destino di chiunque.
Come se fossimo giocattoli tutti uguali, creati in serie per i bambini che si accontentano di poco.
Beh, quella donna potrà anche abitare nella mia casa, potrà anche occupare il posto accanto al mio nel letto e riempire una parte delle mie giornate.
Ma so già che mai nessun'altra avrà un posto riservato sulla mia pelle. Mai nessun'altra lascerà tracce indelebili sul mio corpo.
Solo lei.
Soltanto la mia migliore amica.
Soltanto la ragazza che mi ha fatto conoscere l'amore.
Soltanto l'unica ragazza per cui sarei disposto a sacrificare la mia stessa vita, pur di salvare la sua.
E, in fondo, è proprio ciò che ho fatto.
Mi sono condannato di nuovo a nutrirmi di incubi, perché lei possa lasciarseli alle spalle e possa continuare a nutrirsi di sogni.
Avrei tanto voluto dirglielo.
Avrei tanto voluto dirglielo, quanto la amo. E quanto l'ho amata, in quel poco tempo che abbiamo trascorso insieme, anche se non avevo idea di cosa fosse, all'inizio, quel calore che mi teneva al caldo il cuore.
Avrei tanto voluto poterle fare promesse rassicuranti, e darle una vita meravigliosa.
Avrei tanto voluto essere il tipo di persona che poteva permettersi di regalare una vita meravigliosa a una come lei.
Avrei tanto voluto essere un uomo normale, uno di quelli con un lavoro pulito, quelli in cui ti spacchi la schiena per dieci ore di fila. Me lo sarei fatto andar bene, se questo avrebbe significato poter tornare a casa, ogni sera, da lei.
Se questo avrebbe significato potermi costruire una famiglia che sentissi davvero mia.
Se questo avrebbe significato poter ricevere il suo amore e i suoi baci ogni notte.
Se questo avrebbe significato poterla toccare per sempre come se mi appartenesse.
«Abbiamo finito».
La voce di Joshua mi riporta al presente. Mi alzo dal lettino, e osservo il lavoro finito nel minuscolo specchio sporco appeso alla parete di fronte. E sorrido, sorrido come un idiota, perché è proprio come lo avevo immaginato.
Pago il servizio, ed esco dal negozio.
Fuori non c'è più nessuno, il cielo è carico di nuvole e le prime gocce di pioggia stanno sporcando il marciapiede.
Mi tiro sulla testa il cappuccio della felpa, e velocizzo il passo.
Ho lasciato la moto a ottocento metri di distanza dal negozio, in una strada più trafficata, dove non c'era il rischio che me la fregassero.
In queste stradine e in questi vicoli, non si sa mai chi puoi trovarci.
Sono a metà strada quando il silenzio viene infranto dal rombo di una moto, che mi infastidisce oltremisura. Ancora una volta, vengo distolto dai miei pensieri e mi osservo intorno per individuare il mezzo che sta facendo così tanto casino, e che guarda caso si ferma proprio accanto a me.
La moto è di un modello costoso, proprio come le tute da motociclisti dei due ragazzi che ci sono seduti sopra; proprio come i caschi che non sono stati raccattati da qualche parte con pochi spiccioli, ma comprati in una concessionaria, nuovi di zecca.
Tutto lascia pensare che siano due ragazzini ricchi della Detroit per bene. Almeno finché il passeggero non tira fuori una pistola, chiaro segno del fatto che devono solo essere dei delinquenti con più soldi.
L'istinto mi suggerisce di afferrare subito la mia, o di infilarmi nel vicolo più vicino.
Peccato che non faccia in tempo. Perché il ragazzino punta la sua pistola proprio verso di me.
E spara.
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Lo so, siete sotto shock.
Ovviamente no, la storia di Ares e Skye non è finita qui!
Date un'occhiata al prossimo capitolo...
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𝐅𝐚𝐭𝐞𝐝
Romance𝐿𝑒𝑖 𝑒̀ 𝑙'𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑖𝑜𝑠𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑖𝑟𝑐𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑖𝑡𝑡𝑎̀. 𝐿𝑢𝑖 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜 𝑒𝑟𝑒𝑑𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑐𝑎𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒. 𝐿𝑒𝑖 ℎ𝑎 𝑙𝑒 𝑚𝑎𝑛𝑖 𝑐𝑜𝑙𝑜𝑟𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑟𝑢𝑐𝑐𝑜 𝑒...