Sono sempre stato un predatore.
Immaginate il mio sconcerto nel ritrovarmi, da un giorno all'altro, ad essere una maledetta preda.
Preda di emozioni e sentimenti che mi imbrigliano il respiro e i battiti. I pensieri e l'umore.
Non lo riconosco quello che sto provando.
È una paura anomala e differente da quella che a volte ho provato per la gente con cui vivo.
È terrore misto a tristezza.
È un tipo di sensazione tremendamente spiacevole che mi si attacca al cervello, allo stomaco e al petto, come un cancro, ogni volta che mi fermo a pensare alla possibilità di non avere più Skye nelle mie giornate.
È come se in tutto il dannato universo fosse finito lo zucchero, come doversi rassegnare a bere caffè amaro per il resto dei giorni a venire.
Cosa diamine era questa condizione che si era impossessata di me, e che mi aveva ridotto alla stregua di un ragazzino debole e instupidito?
Com'era possibile che qualsiasi briciolo di energia mi fosse stata risucchiata via dalle braccia e dalle gambe, che la nausea fosse diventata la mia più fedele amica, che alzarsi dal letto fosse così difficile tanto che alla fine per la maggior parte del tempo preferivo sprofondarci dentro e restare lì?
Non mi apparteneva niente di tutto questo.
Non mi apparteneva questo tipo di sofferenza che non mi squarciava la pelle, non mi riempiva di lividi, non mi faceva sanguinare.
Non ne vedevo i segni. Di conseguenza, non sapevo dove mettere i cerotti, dove applicare il disinfettante, quali medicine prendere.
Avrei voluto infilarmi una mano dentro al petto e frantumare qualsiasi cosa ci fosse lì dentro che bruciava e pulsava così tanto.
Non doveva andare così. Lei doveva riempire il mio tempo, e non i vuoti dentro di me.
Non doveva lasciare tracce indelebili, come l'inchiostro dei pennarelli che non andava più via.
Non doveva condurmi a compiere gesti sciocchi come rubarle una foto e nasconderla nella tasca della felpa, per poi tirarla fuori ogni cinque minuti e fissarla per istanti infiniti.
Dio, come stonava il suo viso in camera mia.
Come stonava quella fotografia in una casa che non sapeva neanche cosa fossero le foto.
Quel pezzo di carta tanto intriso di ricordi, in un appartamento che non conteneva nient'altro che cianfrusaglie prive di qualsiasi valore.
Dio, come stonavano le mie giornate senza di lei.
Grigie, sbagliate, prive di carezze e sorrisi.
Queste giornate, ora, suonavano come una canzone accompagnata da una chitarra scordata. C'era quell'insopportabile stridio di sottofondo che ti faceva venire voglia di coprirti le orecchie con le mani.
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𝐅𝐚𝐭𝐞𝐝
Romance𝐿𝑒𝑖 𝑒̀ 𝑙'𝑎𝑡𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑖𝑜𝑠𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑖𝑟𝑐𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑖𝑡𝑡𝑎̀. 𝐿𝑢𝑖 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜 𝑒𝑟𝑒𝑑𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑐𝑎𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒. 𝐿𝑒𝑖 ℎ𝑎 𝑙𝑒 𝑚𝑎𝑛𝑖 𝑐𝑜𝑙𝑜𝑟𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑟𝑢𝑐𝑐𝑜 𝑒...