16 • Senso Di Smarrimento

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Ero giunto alla conclusione che la conoscenza, e la consapevolezza, non fossero necessariamente un bene

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Ero giunto alla conclusione che la conoscenza, e la consapevolezza, non fossero necessariamente un bene. O, almeno, non per quelli come noi.

Negli ultimi tempi invidiavo da morire Zane e il resto del branco per aver sempre seguito la strada che era stata indicata loro, senza mai guardarsi intorno e porsi domande. Al contempo, mi chiedevo se la mia curiosità verso il resto del mondo, i libri che avevo letto, o magari la mia abitudine di sconfinare in ogni angolo di Detroit per osservare la vita altrui, non avessero intaccato quella corazza che, a modo suo, pur lasciandomi nell'ignoranza, mi proteggeva.

Già, doveva essere per queste ragioni che, al contrario di tutti gli altri, io non riuscivo più a farmi scivolare le cose di dosso.

Che non agivo e basta, che non riuscivo a evitare di pensare troppo; e quel pensare, inevitabilmente e a lungo andare, si rifletteva sul mio umore.

Stasera mi aspetta il primo lavoro per i Rowan. Da ciò che so, devo fare da scorta insieme a un altro dei loro uomini in un incontro d'affari. Non sembra niente di troppo pericoloso, ma per qualche ragione non riesco comunque a scacciare via l'agitazione. Sono irrequieto come non mai, in queste settimane.

E, di nuovo, davanti al piatto di pasta che mi attende sul tavolo, mi rendo conto di non avere neppure appetito. Ma so che ho bisogno di tenermi in forze, per cui mi costringo a mangiare mentre Monique si aggira per casa, affaccendata come sempre, e Zane è sparito chissà dove da stamattina.

Il tavolo vuoto e il silenzio non mi aiutano a distrarmi dai pensieri.

Sono così perso nei meandri della mia mente, che non noto la presenza di Monique ferma alle mie spalle finché non sento la sua mano tra le ciocche dei capelli. Dopodiché scosta una sedia e si accomoda accanto a me.

«Ti sono cresciuti un sacco. Vuoi che te li accorci?»

«Magari domani, sì» acconsento, frastornato perché il suo gesto mi riporta indietro a tre mattine fa, e alla premura di Skye.

Dio, il modo in cui mi sono sentito sotto alle sue mani, davanti alle sue attenzioni. Il tipo di piacere insolito e totalizzante che ho provato, lì per lì mi ha spinto a bramarne ancora, ma ben presto è sopraggiunta la consapevolezza e con lei il disagio e l'imbarazzo per quella dolcezza così intima e così poco da noi.

Era come se invece di abbracci e carezze ci fossimo scambiati baci famelici e sesso sfrenato, per come mi sentivo su di giri.

Mi allontano da quei ricordi che mi provocano emozioni contrastanti, e riporto gli occhi su Monique che mi sta osservando assorta.

«Stai bene, Ares?» indaga, accarezzandomi il viso.

«Certo».

«Certo» ripete con sarcasmo, poco convinta. «Ho visto l'abito elegante sul tuo letto, ero entrata per cambiare le lenzuola».

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