23 - Nick

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È notte fonda quando una luce abbagliante illumina il nostro alloggio. Red e Ryan sono di piantone, ma io decido lo stesso di uscire per andare a controllare cosa accade fuori, così esco dal container con indosso solo la mimetica, gli anfibi mezzi slacciati e il mio fedele M16. Percorro la strada sterrata a passo svelto, mentre il gelo si infiltra nella mia pelle arrivando fino alle ossa. Mi muovo silenzioso, qualcosa nell'aria non mi convince. Da lontano scorgo Alan venire nella mia stessa direzione, anche lui con l'arma impugnata nella mano sinistra. Come me deve aver percepito il pericolo.

Poco distante da noi, Red sta controllando il perimetro come da mansione per chi è di turno.

Siamo tutti dannatamente tesi da quando abbiamo recuperato il dottor Cooper dal campo profughi, perché un uomo lo aveva minacciato di morte solo perché stava facendo il suo lavoro.

La nostra missione sta per concludersi. All'alba partiremo e lasceremo questo posto per fare ritorno sul suolo statunitense. Nel frattempo, però, dobbiamo assicurarci che Cooper torni a casa sano e salvo, altrimenti tutto l'operato svolto in questi mesi e tutti i rischi che abbiamo corso saranno vani, ed io non potrei accettare una sconfitta del genere. Devo riportare a casa il dottore e i miei uomini dalle loro famiglie.

Intorno a me sembra tutto normale, tranquillo come ogni sera.

Ryan mi fa cenno con un'alzata di pollice che va tutto bene, ma nonostante tutto, non riesco a mantenere i nervi saldi. Sono così teso che i muscoli del mio corpo mi stanno supplicando di darmi una calmata. Torno sui miei passi e mentre sto per tornare nel mio alloggio un rumore metallico cattura la mia attenzione.

Mi blocco. Mi volto. Scruto attentamente tutto quello che mi circonda.

A grandi falcate torno da Red che nel frattempo si sta avvicinando al cancello principale con in mano una torcia.

La zona anche se apparentemente deserta, mi mette in allerta. Un fruscio alle mie spalle mi fa voltare di scatto.

«C'è qualcosa laggiù...» la voce di Ryan sopraggiunge dietro di me.

«Raggiungi il dottore e non lasciarlo solo per nessuna ragione al mondo», comando.

Lui annuisce e si allontana armato. Imbraccio il fucile e guardo attraverso il mirino di precisione. Poi lo abbasso, per controllare che Ryan abbia raggiunto l'alloggio del dottore e lui mi fa cenno di voltarmi e di fare attenzione. Quando seguo la traiettoria del suo sguardo noto una macchina che prima non c'era, abbandonata poco distante dal cancello.

Il motore è spento.

Il conducente non è alla guida. I finestrini sono sigillati. Il cofano è spalancato.

«Che succede?» il dottore è uscito fuori dal suo rifugio ancor prima che Ryan lo raggiungesse.

«Vada dentro», gli impongo senza rispondere alla sua domanda.

«Il suo sottoposto è in serio pericolo», professa sicuro di sé.

«Penso io ai miei uomini, lei torni nel suo alloggio e mi faccia il favore di restare lì finché non mi sarò assicurato che non corre dei rischi», impartisco ancora ordini.

«Lo faccia allontanare immediatamente», se ne infischia di quello che gli dico e la cosa mi sta facendo perdere le staffe.

«Le ho detto di tornare dentro», sbotto tirandolo via con la forza e lui barcolla all'indietro perdendo l'equilibrio e mi guarda inorridito. Odio quando qualcuno non mi ascolta.

Torno verso Red, che è intento a sporgersi in avanti puntando la torcia sui sedili posteriori dell'auto.

«Red, allontanati, dobbiamo chiamare prima gli artificieri, potrebbe esserci dell'esplosivo lì dentro», gracchio con voce roca. Red indietreggia prontamente e mi affianca. Restiamo a fissare a lungo la macchina apparentemente abbandonata.

«Dici che salteremo tutti in aria oggi?» ironizza lui senza distogliere lo sguardo dal rottame che abbiamo di fronte.

No, non accadrà, perché non voglio rischiare di perdere i miei uomini.

Per nessuna ragione al mondo.

«Penso proprio di no, non ho nessuna intenzione di farmi riconsegnare a casa a pezzi, in una cassetta arrugginita e le budella al posto del cervello», ci scherzo sopra anch'io.

Dopo pochi minuti, ci raggiungono gli artificieri, e scovano all'interno della macchina un ordigno artigianale con una quantità di esplosivo pronta a far saltare in aria tutto e a raderci al suolo.

Aveva ragione il dottore, Red stava correndo dei rischi, ma anche tutto il resto del mio plotone, compreso lui stesso.

«Questi figli di puttana ci avrebbero spappolati in aria Cristo Santo», sentenzia Ryan sconvolto.

Il pensiero di non fare ritorno a casa mi destabilizza, e non poco. E ripenso alla lettera che ho scritto questa mattina, immaginando il viso di Thaara mentre leggeva ogni singola parola.

"Promettimi che tornerai" mi ha detto tra le lacrime mentre il suo torace si gonfiava irregolarmente in cerca di aria.

"Tornerò da te. Te lo prometto, amore mio" ho risposto, e so che non avrei dovuto farle delle promesse, soprattutto perché non so se sarò in grado di mantenerle, ma saperla in balia di una tormenta mi stava devastando. So cosa significava in quel momento per lei la notizia della mia partenza. Ha già perso il suo grande amore in guerra. Ma non perderà anche me.

«Stavo per morire», la voce di Ryan mi riporta con i piedi per terra.

«Stavamo...» puntualizza Red.

Il mio incubo peggiore stava per avverarsi. Stavo per andare al Creatore, per mano di qualche folle che si diverte a far saltare per aria le persone.

Ore dopo, quando è tutto pronto per la nostra partenza, un rombo assordante ci fa sobbalzare. Lascio a terra il borsone e corro fuori, dove mi ritrovo avvolto all'istante da una nuvola di fumo che mi impedisce di vedere quello che sta accadendo intorno a me.

«Attento Nick», riesco a sentire solo la voce di Alan gridarmi contro.

Poi sento un altro frastuono. È una granata che esplode poco distante da me e subito dopo intravedo un'ombra scura, che sembrerebbe un corpo, che viene scaraventato in aria per poi ricadere a terra. Mi muovo nel chiasso dell'esplosione in cerca dei miei compagni. Inciampo su qualcosa e cado a terra grattando i palmi delle mie mani sul suolo. Poi tocco qualcosa. Un corpo inerme. Tossisco più volte per colpa della fiumara che mi intossica.

«Nick.»

È un sibilo leggero quello che sento.

Quasi impercettibile.

È la voce di Alan, ne sono certo.

Poi un rantolo di dolore mi rimbomba nelle orecchie. Allungo una mano e tocco quel corpo e riconosco i tratti del suo viso toccandolo con entrambe le mani.

Mani intrise di sangue e polvere. Poi non sento più nulla. Ed è proprio il nulla a impossessarsi di tutto. Soprattutto della vita del mio migliore amico.

Il mio uomo migliore. Il mio compagno di una vita.

«Alan...» mi esce strozzato.

Ma non ottengo nessuna risposta.

IL BUIO IN FONDO AL CUOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora