Il sole accecante di questo giugno quasi agli sgoccioli mi schiaffeggia il viso non appena esco in strada. Prendo la bicicletta che uso solo quando vado al lavoro per risparmiare un po' di soldi a fine mese e inizio a pedalare come una forsennata per raggiungere la bottega dove lavoro. Sono in ritardo, ma per fortuna l'anziano signore che mi offre un posto stabile da quasi quattro anni è un tipo molto paziente, a volte anche troppo.
Devo ammettere di approfittare spesso della sua bontà, ma da quando vivo da sola nel mio microscopico appartamento, faccio fatica a portare avanti la mia quotidianità. Ogni giorno mi divido tra lavoro, bollette da pagare, spesa e le visite che faccio di nascosto a mia madre per evitare di vedere mio padre.
Sembrerà strano, lo so, ma io e lui ultimamente viaggiamo su lunghezze d'onda differenti e ci scontriamo sempre per la stessa cosa: il mio lavoro. Lui non ha mai accettato la mia decisione di vivere da sola, ma soprattutto non digerisce il fatto che io lavori nel negozio di antiquariato del signor Richard Benson.
Ricordo che, quando gli comunicai che avevo finalmente trovato un lavoro e che presto sarei riuscita a mantenermi da sola, mio padre è andato su tutte le furie, cercando in tutti i modi di farmi desistere. Ma per me era troppo importante, e non avrei mai rinunciato alla mia indipendenza e al lavoro dei miei sogni solo perché a lui non andava a genio.
Dopo aver pedalato per diversi isolati, entro in tutta fretta nel negozio e i campanelli appesi sopra alla porta tintinnano, facendo sobbalzare il signor Richard. Si volta di scatto verso di me e, non appena si rende conto che sono io, sul suo volto si fa strada un ampio sorriso.
«Buongiorno, Richard! Sono in ritardo. Scusa, mi dispiace tantissimo!» mi giustifico subito mentre sfilo il giubbotto di jeans e corro verso lo stanzino. Lascio la mia roba appesa all'attaccapanni e torno da lui, che in tutta risposta mi porge un caffè americano.
«Non preoccuparti, figliola. Alla tua età anch'io non ero mai puntuale su nulla...» dice ammiccando.
Richard è sempre molto gentile con me. A volte, dopo la chiusura del negozio, mi fermo un po' di più perché mi piace parlare con lui; sa capirmi e, soprattutto, sa ascoltarmi, cosa che non ha mai fatto mio padre.
Riesco a parlare con Richard di tutto, specialmente dei miei sogni e di quello che vorrei fare da grande. Anche se alla fine dei conti "grande" lo sono già, non mi sento per nulla appagata. Sento che manca qualcosa nella mia vita. Non parlo soltanto dell'amore; è qualcosa che va ben oltre, un vuoto tremendo nel mio cuore. Ogni volta che la notte mi stendo sul letto, quel vuoto si dilania sempre di più e mi fa sentire dannatamente sola.
Sola, senza nessuno accanto pronto a riempire quel vuoto. Perché, quando perdi l'amore della tua vita, difficilmente ti apri a qualcun altro e ti lasci amare. Da quando Miller è morto, non riesco più a stare bene con il resto del mondo che mi circonda.
Sono passati quasi due anni, ma lui resta ancorato al mio cuore. Io e Miller ci siamo conosciuti quando si è trasferito con sua madre nella villetta di fronte a quella dei miei genitori. È stato amore a prima vista da parte mia. Un colpo di fulmine direi. Il bello è che lui non mi ha mai degnato d'uno sguardo.
Sono sempre stata trasparente, anzi, direi proprio invisibile. Miller era più grande di me di otto anni; quando è arrivato nel North Carolina, io avevo appena quindici anni, mentre lui era già abbastanza grande da aver fatto tutte le esperienze che io mi sognavo di fare. Come il sesso, per esempio.
Miller aveva la fama del Don Giovanni, io invece quella di quella che nessuno voleva portarsi a letto, perché ero troppo piccola e inesperta rispetto alle ragazze della mia età. Le mie coetanee si erano spassate con più uomini di quanto avrebbero dovuto.
Ogni sera mi piazzavo davanti alla finestra e lo vedevo uscire, per poi rientrare sempre alla stessa ora, ovvero dopo l'alba. Passavo ore appiccicata a quel vetro in attesa del suo rientro. A volte mi sentivo una stalker, ma era più forte di me. Mi piaceva guardarlo. Anche se lui ignorava la mia esistenza e non alzava mai gli occhi verso la mia persiana, io me ne stavo lo stesso nascosta dietro a una finestra ad aspettarlo, domandandomi dove andasse ogni sera.
Solo dopo appresi da lui stesso che stava scontando una pena per aver preso a pugni un poliziotto, lavorando in una casa di riposo a contatto con i malati di Alzheimer. Suo padre, Fred, era un avvocato molto in gamba ed era riuscito a non farlo andare in prigione, facendogli patteggiare la pena lavorando per una comunità. Dalle diciannove alle quattro del mattino, doveva prendersi cura dei malati in attesa del cambio del personale specializzato.
Lui serviva la cena, puliva le stanze e passava del tempo con i pazienti. Amava quello che faceva, a prescindere dalla sua condanna. Aveva socializzato con tutti, ma in particolar modo con un uomo che stravedeva per Miller e aveva stretto con lui un legame profondo, tanto che l'uomo lo aveva convinto ad arruolarsi nella Marina. Così, Miller intraprese la carriera militare e, una volta scontata la sua condanna, non smise di aiutare la clinica per la quale lavorava, anzi, raddoppiò le ore di servizio in base ai turni che aveva in caserma.
Miller si accorse di me una sera in un pub. Io ero con le mie amiche a festeggiare la maggiore età che avevo appena compiuto e, accidentalmente, gli versai addosso il mio drink. Mi sono sentita così stupida che per poco non scoppiai a piangere davanti a lui per la vergogna. Invece di maledirmi per il danno che gli avevo fatto, lui mi offrì un altro bicchiere di Martini e mi chiese di sederci a un tavolo per conoscerci meglio. Così ci sedemmo a un tavolo appartato a parlare di noi.
Passai una splendida serata con Miller, chiacchierando di tutto. Gli raccontai senza vergogna dei miei appostamenti. Gli confessai spudoratamente che passavo la maggior parte del mio tempo a spiarlo e lui, in tutta risposta, mi sorrise maliziosamente, mi prese una mano e la strinse alla sua intrecciando le nostre dita. Quel gesto così intimo mi lasciò a bocca aperta.
Mi disse che mi trovava una ragazza molto interessante e che avrebbe voluto rivedermi. La mia ossessione nei suoi confronti divenne più forte di prima. Era un tipo intrigante, generoso verso il prossimo e dannatamente sexy. Ci scambiammo i numeri di telefono e, appena arrivai a casa, trovai un suo messaggio sul cellulare.
Giuro che non riesco ancora a crederci: com'è possibile che tu sia sfuggita al mio radar e non ti ho mai incontrato prima di oggi? Sei sicura di essere la mia vicina di casa super impicciona? Vorrei davvero rivederti presto, molto presto... Baci, Mil.
Sbottai a ridere con il cuore colmo di gioia. Da allora cominciammo a messaggiare ogni giorno. Iniziammo a uscire clandestinamente, poiché mio padre nutriva inspiegabilmente una forte ostilità nei confronti di Miller. Nonostante la disapprovazione di mio padre, non rinunciai a lui.
Un giorno mi chiese di sposarlo, e io fui così sorpresa della sua proposta di matrimonio che iniziai a urlare a squarciagola in mezzo alla strada che finalmente avevo trovato l'uomo dei miei sogni e che presto lo avrei sposato. Peccato che quella felicità durò ben poco perché a poche settimane dal nostro matrimonio ricevetti una telefonata da parte di sua madre per annunciarmi la brutta notizia, quella che nessuna compagna di un soldato vorrebbe mai ricevere.
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IL BUIO IN FONDO AL CUORE
RomantizmIL ROMANZO È IN FASE DI EDITING. Thaara ha lasciato che il buio avvolgesse il suo cuore per sopravvivere al dolore della sua perdita. Nick ha anestetizzato il suo per difendersi dall'amore. Ma a volte non basta scappare per mettersi al riparo dall...