You can tell me anything

658 70 8
                                    

Il caffè che aveva tra le mani era ormai freddo, ma Manuel non aveva alcuna intenzione di berlo. Nina, accanto a sé, stava parlando dell'assistente sociale, ma lui davvero non riusciva ad ascoltarla.

Il padre di Viola è mio padre. Il padre di Viola è mio padre.

Continuava a pensarci e ripensarci. Quella frase gli rimbombava nella testa di continuo, insieme al testo della mail che sua madre aveva scritto a Nicola.

Non gliel'ha detto, non me l'ha detto.

La consapevolezza lo faceva sentire come in un vuoto perenne, uno spazio ignoto in cui era solo contro il mondo intero. Solo, non si era mai sentito più solo di così.

Sentì le narici bruciare e gli occhi inumidirsi di colpo — mandò giù la saliva e strinse le labbra, annuendo a chissà quale domanda Nina gli aveva fatto.

Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per guardarla in viso e si ritrovò davanti Simone che camminava verso la biblioteca con Mimmo, ridendo per chissà cosa.

Solo, Manuel era solo al mondo. Era una consapevolezza che lo annichiliva, che lo faceva sentire inesistente. Io sono come una valigia abbandonata in una stazione piena di gente che passa senza curarsi di me: ora, forse, riusciva a comprendere in pieno cosa si provava.

Buttò giù il caffè, nonostante fosse ormai ghiacciato e sapesse di catrame, e si lasciò trascinare in classe da Nina.

Solo.

*

Si era chiuso nel garage con Paperella, nonostante sapesse di non riuscire a farci nulla.

Era stata una scusa, un modo stupido per stare da solo, senza avere addosso lo sguardo insistente di Dante su di sé — lo vedeva mentre dava tutte le informazioni che poteva a sua madre, mentre pensava che Manuel non guardasse.

Era diventato un sorvegliato speciale, una sorta di bomba a orologeria che il professore stava cercando di contenere.

Eppure, Manuel, non sentiva più alcuna rabbia.

Sarebbe stato più semplice, meno alienante: la rabbia ti fa essere, l'apatia ti crea un vuoto inspiegabile dentro — quasi un buco nero che si alimenta con tutto quello che ti fa mal sopportare l'esistenza.

"Manuel?"

Era così tanto che non sentiva la voce di Simone, che gli ci volle un attimo per capire che si trattava di lui. Alzò lo sguardo dalla moto e se lo vide lì, con un borsone sulla spalla e lo sguardo preoccupato.

"Va tutto bene?"

Manuel annuì e prese il panno che aveva lasciato per terra per tornare a lucidare la carrozzeria. "Era 'n po' sporca" disse, a mo' di giustificazione.

"Papà mi ha detto che stai chiuso qui da quando sei tornato" Simone disse e Manuel sentì tutto il peso della sua presenza tutto d'un tratto. "Credevo fossi da Nina."

"C'ha da fa' con l'assistente sociale" disse lui, continuando a non guardarlo. "Io so' solo de impiccio."

Ironicamente, era quello che era sempre stato. Di intralcio a ogni persona che avesse mai conosciuto — già da quando era soltanto un mucchietto di cellule nell'utero di sua madre. Non lo stupiva che pure Nina lo pensasse.

"È successo qualcosa?" La domanda lo colse impreparato.

Manuel scosse lentamente la testa e passò a lucidare i cerchioni. "Mia madre continua a chiamarmi, ma... non me va de parlarle."

"Per... tuo padre?"

"Pe' Nicola, sì."

Che poi, in realtà, forse non era neanche propriamente per Nicola. Il motivo per cui non voleva parlare a sua madre riguardava soltanto lei e soltanto lei — e il modo in cui gli aveva strappato via quel minimo di sicurezza e consapevolezza che Manuel aveva.

Senza starci troppo a ragionare || #simuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora