Prologo

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«Madison, ti prego esci...» chiese mia mamma bussando alla porta di camera mia. Non risposi. Ormai si erano abituati. Si erano abituati a non sentirmi più studiare ad alta voce, a non vedermi per casa o a portarmi il cibo in camera mia, senza unirmi a loro per la cena.

Erano quasi due giorni che non uscivo di casa. O meglio che non uscivo dalla mia stanza. Mi sentivo al sicuro stando rannicchiata sul mio letto, sotto le mie lenzuola bianche e osservando dalla finestra le belle giornate di questa stagione.

Autunno. 1 parola, 3 sillabe, 7 lettere, emozioni pure.

Sembrava quasi uno scherzo del destino.

Fin da piccola la mia nonna mi diceva di non rattristarmi mai per l'arrivo di questa stagione; diceva che se ti metti a testa in giù le foglie invece di cadere sembrano spiccare il volo. Nonostante questa frase, come ammise lei, l'aveva rubata da qualche libro con quelle frasi motivazionali che leggeva sempre, non potevo non pensare a quanto a lei piacesse da impazzire quella stagione. Non a caso aspettava la fine di agosto per iniziare a preparare i suoi famosi biscotti al cioccolato e quelle tisane a delle erbe davvero strane che solo a lei riuscivano a piacere.

Ho sempre amato starmene lì, tra le pareti della mia camera che mi proteggevano dal mondo esterno. Ho arredato più volte quella stanza per renderla mia, ma alcune volte sembrava quasi che io non ci fossi mai stata, che quel posto non appartenesse a me. Ma come ho detto, tra quelle pareti mi sono ero sempre sentita al sicuro. Le pareti rosa pastello ricordavano tanto la stanza di una bambina di quattro anni che amava giocare con le bambole, la piccola pianola su un mobile di fronte al letto ricordava una bambina di otto anni che aveva cominciato ad appassionarsi alla musica con suo fratello. Le fotografie appese sul muro davanti alla scrivania ricordavano una bambina, ormai nel pieno dell'adolescenza, che amava ricordare i bei momenti. I modellini delle auto sportive ricordavano una ragazza ormai diciottenne che scoprì cosa volle fare della propria vita. La stanza mi ricordava la ragazza che ero e che sarò sempre, la ragazza che se ne era andata di casa qualche anno fa per studiare e che era tornata il quel posto, in quella città, quando le circostanze non potevano essere più buie.

E in momenti come quello, quando ero solo io, da sola con i miei pensieri e con le paure, che pensavo a lei, alla mia amata nonna. A lei che mi ha cresciuta, a lei che c'era quando il mio mondo stava cadendo a pezzi, a lei che mi ha insegnato tutto pur non avendo niente, a lei che mi ha insegnato a seguire i miei sogni, a lei che mi ha spinto sempre di più a migliorare me stessa, a lei che se ne è andata via troppo presto.

Ho sempre saputo che i miei momenti con lei non sarebbero stati infiniti, ma non me ne sono resa davvero conto finché non l'ho persa. Nella mia famiglia ero io la persona a cui era più legata. Ero io che la andavo a trovare ogni mattina prima di andare a scuola, quando ancora abitavo in città, e prendermi con lei il mio solito caffè con il latte che lei sapeva fare stupendamente. Ero io che la portavo in ospedale per fare tutte quelle visite che le persone anziane devono sempre fare. Ero io che la aiutavo nel suo negozio di souvenir.

Non ho mai capito perché tenesse tanto a quel negozio. Io non ci ho mai trovato niente di speciale. Solo cianfrusaglie che si comprerebbero a una persona a cui si deve portare un ricordo delle proprie vacanze ma non si vuole spendere tanto. Infondo Stevenage non è la città più bella del mondo. Non è una località dove vorresti passare le vacanze. Non è una località balneare come Le Maldive e neanche una località spumeggiante come Ibiza. Ma almeno abbiamo Starbucks. Stevenage è una città dell'Hertfordshire, una contea dell'Inghilterra orientale, non molto distante da Londra. Ma è la città dove sono nata e cresciuta e per questo avrà sempre un posto nel mio cuore. Mia nonna me lo ha sempre detto; forse per questo aprì quel negozio. Era la sua vita. Scherzava sempre sul fatto che quando sarebbe morta se lo sarebbe portata via con se dovunque andasse la sua anima. Ma ora il negozio era ancora lì, lei no.

«Maddie, sono io, almeno aprimi la porta» chiese mio fratello, appoggiando la sua testa sulla porta. Io e mio fratello maggiore Charles siamo sempre stati super legati. Non ricordo un momento della mia vita dove lui non ci sia stato. Per questo io so che per quanto potremmo allontanarci, non sentirci, entrambi sappiamo che qualcosa ci legherà per sempre, qualcosa di più profondo del legame di sangue. Non siamo mai andati d'accordo fin da subito, come in qualsiasi rapporto tra fratello e sorella. Quando eravamo più piccoli erano più le volte in cui ci scontravamo, in cui io giudicavo il suo stile di vita tipico adolescenziale, che quelle in cui effettivamente ci confidavamo tra noi. Poi quando tutta la mia vita prese per alcuni versi una piega negativa, lui era lì.

Mi alzai dal letto dopo essermi asciugata tutte le lacrime andando ad aprire la porta della mia camera. Feci due respiri profondi prima di aprirla. Girai la maniglia e scostai la porta. Charles aveva lo sguardo perso e confuso. La prima cosa che fece fu abbracciarmi. Ma non fu solo un semplice abbraccio, ma uno di quelli che ti trasmettono mille emozioni. Passarono secondi, effimeri istanti ma quell'abbraccio mi fece sentire per la prima volta bene dopo giorni, dopo giorni rinchiusa in una stanza per la paura di affrontare il mondo fuori.

Charles mi lasciò andare in modo che potessi sedermi sul mio letto ormai completamente disfatto mentre lui andò a sedersi davanti al mobiletto dove era posizionata la pianola. La musica era ciò che mi salvava nei momenti più buoi, la cura per ogni malattia. Incominciò a cantare una canzone che per noi ha sempre significato tanto, ma ora ancora di più.

You could say I lived a crazy life for a man so young

The kind that made me question my faith

Now I'm looking back just wondering where the time has gone

But I guess it's just the price you pay

I've already loved more than I thought I could love someone

I've already felt my heart break

And I've already fell so many times but I got back up

But at least I did it all my way

I've been through it all

Yeah, I've been through it all

Yeah, you won't see me crying if tomorrow never comes

God only knows I've been through it all

Si alzò dalla sedia del pianoforte e venne verso di me e disse «La vita è un merda che cerca sempre di soffocarti. Ma io ti conosco e so che sei più forte di quanto tu possa immaginare». Ho sempre amato questa sua capacità di tirarmi su il morale anche quando sembrava che il mondo volesse vedermi a terra. Mi asciugò una lacrima che cadde sulla mia guancia e mi baciò sulla tempia sinistra e poi appoggiò la mia testa sulla sua spalla destra. «Ricordatelo sempre, io ci sono. Nel bene e nel male. Manca da morire anche a me, ma devo ammetterlo che tu eri più legata a lei».

«Perché sembra quasi che agli altri non gliene importi niente?» chiesi alzando la testa per guardarlo nei suoi meravigliosi occhi verdi, ereditati da mio padre.

«Non è così. È soltanto che ognuno di noi affronta il dolore il modi diversi. E non esiste un modo giusto o modo sbagliato. Esiste solo quel modo che dopo dovrebbe farti sentire meglio» mi spiegò mio fratello, torturando con la mano sinistra il braccialetto azzurro con la sua iniziale sul suo polso destro, il braccialetto che gli diede la nonna.

«Fai bene ad utilizzare il condizionale. Non sempre va in questo modo» risposi con la massima convinzione.

«Certe volte però esistono le persone che ti fanno sentire meglio» ribatté lui più sicuro che mai.

Dio, quanto aveva ragione.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora