Capitolo 16

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Mi calmai tra le sue braccia e poi continuammo la nostra camminata fino all'hotel senza dire una parola.
Per tutto il viaggio me la presi con me stessa. Non dovevo piangere di fronte a lui. Non dovevo mostrarmi così debole, anzi vulnerabile. Ma non so perché dire quelle cose mi aveva liberato da un peso. Dire quelle cose a lui mi aveva fatto sentire meglio.
Ormai era da tempo che sopportavo tutto senza dire niente. Non ne parlavo neanche con la mia famiglia ne con Eveelen. Erano cose troppo private, ma il suo sguardo. In quel momento in cui i miei pensieri stavano prendendo il sopravvento, non riuscii a trattenermi.
«Ti va se dopo parliamo?» disse Arthur. Mi resi conto che eravamo davanti alle porte delle nostre camere in albergo. Per tutta la strada fino all'hotel mi aveva tenuto stretta a lui appoggiando il suo braccio sulle mie spalle. Era stato davvero premuroso da parte sua.
«Ehm.. si.. » dissi cercando di aprire la porta.
In realtà, appena varcata la porta, mi chiesi se dopo tutti i pensieri che mi ero fatta era una buona idea uscire con Archie. Così, come spinta da una forza più forte di me, uscii dalla porta della mia camera andai verso la porta di quella di Arthur. Bussai pesantemente e Raynard non tardò ad aprire la porta.
«Ti va se parliamo ora?». Avevo bisogno di un sostegno in quel momento e Arthur era la persona più vicina ad un amico che in quel momento era in zona. Avrei potuto benissimo chiamare Eve, ma avevo bisogno di vedere di fronte a me una persona in carne ed ossa con cui parlare. La sua faccia scioccata mi fece capire che non se lo aspettava affatto. Si spostò per farmi passare e poi chiuse la porta.
«Accomodati sul letto, io mi metto sulla poltrona»
Andai dritta sul letto, mi tolsi le scarpe e incrociai le gambe. Arthur invece si sistemò sulla poltrona di fronte al letto e il tutto sembrava una seduta psicologica. Mi guardai attorno e non potei far a meno di notare il pacchetto di sigarette mezzo vuoto sul suo comodino. Erano poche le volte in cui lo vidi fumare e ogni volta mi stupiva il fatto che lui fosse sovrappensiero, come se una singola sigaretta in realtà non fosse nulla, solo un modo per cercare di evadere dalla realtà.
«Mi dispiace se prima ho avuto quella specie di crollo... » dissi imbarazzata. Era la verità. Nessuno dei due si aspettava così tante emozioni in quel momento e farmi vedere così fragile da lui mi faceva quasi sentire peggio rispetto a tutte le mie paranoie.
«Non ti devi scusare. Anzi, tra virgolette sono felice che tu ti sia aperta con me». Mi sorrise e io ricambiai il sorriso.
Fece un cenno con la testa verso il letto, come se mi avesse chiesto il permesso per sedersi accanto a me; gli feci un segno con la testa come a dirgli che non c'era alcun problema. Si alzò dalla poltrona e si mise seduto di fianco a me sul letto.
«Vuoi raccontarmi cosa è successo? - vide il mio sguardo e continuò a parlare - Capisco che sono pensieri che non è da poco che ti frullano in testa. Qualcosa, oggi, deve averli scatenati... ».
Rimasi colpita dal fatto che aveva capito tutto ciò. Anche se mi costava ammetterlo, Arthur era rimasta una delle persone che mi conoscevano meglio. Era strano, ma forse una parte di me si sentì sollevata; sollevata dal fatto che forse lui in tutti quegli anni non mi aveva dimenticata come avevo immaginato e il mio vago ricordo, anche se piccolo, era rimasto in lui.
«Conosci Archie Nolan?»
«Sì, il migliore amico di tuo fratello». Una strana luce si manifestò nei suoi occhi. Una parte di me mi stava suggerendo che lui lo conosceva bene. L'avevo notato dall' sua reazione appena dissi il suo nome. Occhi spalancati e stupiti, come se quel nome scatenasse in lui una serie di ricordi. Arthur aveva capito che tutto era nato per colpa di un ragazzo ma non pensava si sarebbe trattato proprio di Nolan. Archie non era di certo famoso per essere un ragazzo apposto. Infondo anche lui, come Charlie, aveva un passato abbastanza turbolento. Era la spalla destra di mio fratello a qualsiasi festa e di certo non passava inosservato l'uso di canne che faceva.
«Esatto... in pratica oggi l'ho incontrato al circuito... E mi ha chiesto di uscire».
Il volto di Arthur non aveva emozioni, non traspirava emozioni. Sembrava quasi vuoto. «Perché era lì?» chiese scorbutico.

«Era con dei suoi amici...»

«Ok... ». la mia risposta sembrò quasi calmare la sua reazione alla scoperta che ci fosse anche lui a Winchester con noi. «Non capisco dove sta il problema. Mi ricordo che avevi una cotta per lui quando eravamo piccoli... » disse sorridendo e confuso. Certo che non poteva capire.
«Non mi ha mai cercato prima. Ora che sono "di una taglia che rientra in alcuni canoni" invece vuole pure portarmi a cena fuori!»
«Maddie - disse prendendomi le mani e io alzai lo sguardo per guardarlo nei suoi bellissimi occhi verdi - se fai questo ragionamento con qualunque ragazzo che è gentile con te, non troverai mai nessuno. Certe volte bisogna solo vivere il momento»
Quello che disse mi fece ragionare. Infondo aveva ragione. Come d'improvviso mi sentii più leggera. Le paranoie erano scomparse, per il momento. Non mi avrebbero mai abbandonata, ne ero certo, ma avrei dovuto imparare a conviverci. Certe volte guardare le cose da un prospettiva diversa aiuta.
«Quindi credi che dovrei uscire con lui?». Non so perché gli feci questa domanda. Non avevo bisogno del suo consenso. Ma la curiosità in me era troppo alta. Volevo sapere cosa ne pensasse.
«Non sono io quello che deve decidere...» disse lasciando andare le miei mani, che si erano abituate al calore delle sue, e alzandosi dal letto andando verso il bagno.
Ancora titubante, presi il cellulare dalla mia borsa e scrissi un messaggio ad Archie indicandogli la via dell'hotel e l'ora.
«Ti ha chiesto di uscire stasera?». Alzai lo sguardo e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Arthur senza maglietta era uno spettacolo. Riuscivo quasi a sentire le urla di invidia di tutte le ragazze della scuola. Non avevo mai pensato che sotto le sue magliette si nascondesse un corpo perfetto. Gli addominali, quelli che avevo evitato di osservare dal post di Insta, ora erano in risalto davanti a me, frutto di tutti gli esercizi in palestra che doveva seguire per il motocross ma allo stesso tempo non erano così marcati da farlo sembrare un pompato. Erano... perfetti. Lui lo era. E in quel momento una specie di brivido comincio al passarmi attraverso tutto il corpo, piacevole certo ma scombussolante. E infine il mio sguardo si spostò sulle quella catenina che conoscevo troppo bene e che in quel momento ebbi la certezza che si trattasse della mia catenina. Quella che da bambina gli avevo regalato al suo compleanno, quella catenina che per me aveva un valore importantissimo che diedi a lui, perché anche lui per me aveva un valore così importante. L'aveva tenuta per tutti quegli anni. Non riuscivo a crederci. E non solo l'aveva tenuta, la indossava.
«Ehm si, perché? ». Cercai di concentrarmi su altro ma girai lo sguardo verso di lui perché, onestamente, era impossibile non ammirarlo. E osservandolo meglio, notai una piccola cicatrice sul braccio sinistro. Sembrava quasi un puntino, una piccola cicatrice circolare che non a uno sguardo attento non passava di certo inosservata.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora