Capitolo 12 (Arthur)

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Credeva davvero fosse quello il motivo per cui mi ero allontanato da lei? Del suo corpo non me ne fregava un cazzo, o meglio. Non me ne fregava nulla dell'aspetto che avesse. Chilo in più, chilo in meno. Cazzo, la trovavo bellissima fin da bambini. Nulla avrebbe cambiato questa idea che avevo di lei. Per me sarebbe sempre stata quella bambina con quel dolcissimo vestititino rosa fatto da sua nonna.

Ma mi sentii veramente uno stupido per averglielo lasciato pensare. Per averle fatto pensare che fossi solo un altro di tutti quei ragazzi che per anni l'avevano presa in giro per le suo forme. Le avevo lasciato credere che tutti quegli anni della nostra amicizia non avevano significato nulla. Ma non era così. Per me erano stati la salvezza. Correre a casa sua, a casa di Nonna May, da lei, significava allontanarmi da casa mia. Allontanarmi da mio padre.

Ripensai a quando da bambino solo il pensiero di tornare a casa da scuola mi faceva tremare. Desideravo ogni volta di mettere piede in una casa vuota. Senza mamma e papà. Soprattutto nelle giornate più felici. Non volevo che lui le rovinasse. E puntualmente succedeva sempre. Tornavo a casa, e sentivo nell'aria che qualcosa sarebbe successo. Per andare in camera mia, nella casa che avevamo al tempo, dovevo passare davanti al suo studio. Il sentimento di paura. Quello non lo dimenticherò mai. Quella paura fottuta di salire le scale e vedere la porta del suo studio aperta. Se era chiusa, nessun problema. Cercavo di fare passi leggeri senza farmi sentire e correre fino a chiudermi in camera. Ma quando era aperta, tremavo. E non c'era modo che lui non mi vedesse. Mi vedeva sempre. Mi chiamava nel suo studio, io entravo e lui chiudeva la porta dietro di me. E l'odore di whisky che aveva addosso riuscivo ancora a sentirlo. La prima volta che successe pensai che mi volesse chiedere della mia giornata. Non fu così. Mi chiese di mamma. Mi chiese se quella mattina, quando mi accompagnò a scuola, si fosse fermata a parlare con uno dei miei insegnati. Gli dissi di si, poiché era la verità. Ma quello che non sapevo allora era la morbosa gelosia che mio padre provava nei confronti di mia madre. Nonostante non l'amasse, non avrebbe permesso a nessuno di amarla. Le avrebbe sempre negato quell'amore che ogni donna spera di incontrare. Subito dopo la mia risposta si scatenò la sua rabbia. Mi prese per il bavero della giacca che indossavo e mi diede un forte schiaffo che mi fece cadere a terra. Con le lacrime agli occhi, cercai di uscire dalla stanza ma era chiusa a chiave. Quella sensazione di non aver via di scampo fu una cosa che mi tormentò per anni. Non chiudevo nessuna porta a chiave, mai. Solo quando lui era in casa e la chiave era tra le mie mani. Negli hotel era più difficile: chiudevo la porta a chiave, ma lasciavo aperta una finestra. Una via ci doveva sempre essere.

Mentre raccogliemmo tutte le cose per dirigerci verso la moto, non potei far a meno di osservarla. I suoi capelli marroni che svolazzavano a causa del vento e lei che cerava ti toglierseli dalla faccia, cercando di farli stare fermi con due mollettine che aveva tirato fuori dalla sua borsa.

«Che palle!» disse fermandosi e cercando di sistemare la situazione.

«Aspetta, lascia fare a me». Abbandonai le cose che avevo in mano e rivolsi tutta la mia attenzione a lei. Mi posizionai difronte e presi il suo viso tra la mani. Dio, quegli occhi. Azzurri come il mare che si proiettava dietro di lei. Occhi stupendi che guardavano dritti nei miei. Presi le ciocche di capelli che le stavano dando fastidio e le posizionai dietro le orecchie ornate di orecchini argentati che si abbinavano perfettamente al colore della sua pelle. Presi le mollettine che teneva tra le mani e le posizionai al livello delle sue tempie.

«Grazie...» sussurrò con le sue labbra piene su cui avrei tanto voluto passare il pollice.

«Figurati». Farei tutto per te. Mi allontanai e ripresi lo zaino che avevo abbandonato a terra. Aspettai che lei si incominciasse ad avviare verso la moto e mi incamminai anch'io. Sarebbe andata sempre così d'ora in poi, lo sentivo. Io che facevo sempre fatica a resisterle, e lei che ne era inconsapevole.

Ci sistemammo i caschi e poi montammo sulla mia moto. La visione di lei con il casco sulla mia moto, la sensazione delle sue braccia strette intorno a me? Impagabili. Immagini impresse nella mia memoria per sempre. E son sicuro che sarebbero state volentieri il soggetto della mia prossima sega.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora