Capitolo 29

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1 anno prima

«Fai schifo! Non ti vergogni?».

«Guarda che adesso si mangia 20 gelati».

Riuscivo ancora a sentire le loro risate derisorie anche dopo che uscii della gelaterie del centro. Non appena dieci minuti avevo varcato l'ingresso del negozio per comprare una vaschetta di gelato per me e Nonna May, sentii gli sguardi dei miei coetanei che si rivolgevano a me.

Lo odiavo.

Ogni. Volta.

E quello bastava per farmi scoppiare a piangere. Ma cercai di trattenermi. Avevo un compito. Lo avrei fatto per nonna.

Continuai a camminare fino al banco ma li sentivo ridere e fare commenti.

«Ciao, cosa posso darti?»

«Ciao...» disse come voce tremante. «Io...v-orre-i...» non riuscii a terminare la frase a causa dei versi che facevano i miei compagni. Si, versi, versi di maiale. Mi sentii morire. Non trattenni più le lacrime e corsi fuori della gelateria sentendo ancora i loro commenti.

Mi dispiace nonna, ma niente gelato.

Con gli occhi tutti impastati dalla lacrime corsi al parchetto dove Nonna May portava sempre me e Arthur. Era in momenti come quello che mi chiedevo da che parte sarebbe stato il mio amico. Sarebbe rimasto a ridere con loro o sarebbe venuto in mio soccorso?

Continuai a piangere sotto l'albero di pesco. Alcune foglie mi caddero sui pantaloni e guardai le mie cosce formose. Grasse, avrebbero detto loro. Poi mi fermai ad osservare i rotolini sulla pancia e infine le braccia. Piansi tutte le lacrime che avevo, silenziosamente. Anche se non c'era nessuno, piangere per me nel corso del tempo era diventata un abitudine che non potevo permettere alle altre ragazze di sentirmi mentre me ne stavo chiusa in bagno. Avrebbe solo peggiorato la situazione. Dovevo mostrarmi capace di resistere, ma non lo ero.

«Volevo offrirti dei fazzoletti ma non ne ho neanche uno». Una voce maschile mi fece alzare la testa. Guardai il ragazzo difronte a me. Era più o meno della mia età, magrolino e indossava dei pantaloni davvero molto larghi. Tra le labbra aveva una sigaretta o una canna, non ne ero molto esperta, e in testa un berrettino di lana. Stava cercando qualcosa nelle sue tasche e dedussi che si trattasse dei fazzoletti.

«Tranquillo, sto b-bene..». Cercai di riprendermi e tirai su con naso. Il ragazzo mi osservò e dopo poco si sedette di fianco a me sotto l'albero,

«Spero non ti dispiaccia...» mi chiese tirando fuori un accendino e indicando la sigaretta che teneva tra le labbra. Scossi la testa. Ma chi era?

«Ora è meglio ... se .. me ne vado» dissi alzandomi. Ci mancava di incontrare uno sconosciuto e non tornare più a casa.

«Non volevo spaventarti, giuro», disse alzandosi anche lui. «Stavo passando di qui per andare da un mio amico e ti ho vista piangere. Volevo solo controllare che stessi bene». Stavo bene? No. «Ma tranquilla, me ne vado io...».

«No, non... te ne andare... Ti prego». Davvero chiesi a uno sconosciuto di stare li con me? Che problemi avevo? Ma non mi sembrava cattivo. Sembrava gentile. L' unico che con me lo era mai stato.

«Va bene...». Tornò a sedersi e lo feci anch'io. Rimanemmo in silenzio per un pò. Io continuai a piangere silenziosamente. Lui continuò a fumare la sua canna, che capii dall'odore che si trattava di quella, che tentò di offrirmi più volte.

«Stai meglio?» mi chiese dopo che piansi tutte le mie lacrime.

«Si, un po' si...». Gli risposi mentre tirò fuori una sigaretta dal pacchetto di Lucky Strike.

«Fumi un pò troppo, lo sai?» gli dissi.

Lui rise. «Lo so, troppi pensieri nella testa». Mi disse e mi guardò negli occhi. Li aveva verdi, ma non quel verde che amavo tanto. Non erano i suoi occhi, ricordai a me stessa. «Facciamo così: io dico a te ciò che ho e tu mi dici che hai te. Ci stai?».

E forse era una pazzia. Non lo conoscevo. Non sapevo nulla di lui. Ma sentii che potevo fidarmi. «Va bene».

«Inizio io, così almeno ti sentirai più a tuo agio». Lo ringrazia mentalmente. «Sono innamorato di una persona che non ricambia i miei sentimenti». Sorrise tristemente. «So che non prova lo stesso. Lo so. Ma dio, vorrei solo provare una sola volta il sapore delle sue labbra... ». Arrossii. «Scusa, ti sto mettendo in imbarazzo...».

«No, tranquillo... è tutto ok». Ed ero sincera. Ma avrei voluto capirlo. Non avevo mai provato un sentimento così per nessuno. «Non gliene hai parlato?»

«Mi riderebbe in faccia» disse sorridendo. «E sinceramente non voglio rovinare la nostra amicizia e so che pensa ad un'altra persona, da sempre». Mi dispiaceva per questo ragazzo. Era buono, dolce, gentile.

«Questa persona si sta perdendo una persona davvero buona». Chiunque fosse la ragazza era fortunata, ma anche una stupida per non stare con uno così.

«E tu che mi dici?»

La verità, sconosciuto. «Vengo costantemente presa in giro per il mio peso» dissi guardando l'erba. «Oggi ero in gelateria per prendere una vaschetta di gelato da portare a mia nonna e non ce l'ho fatta. Non ho sopportato e son corsa via».

«Non devi vergognarti del tuo corpo».

«Lo dici tanto per dire» sbuffai.

«No, ti giuro su ciò che ho di più caro. Mi sembri tanto una ragazza con la testa sulle spalle che non si merita tutto queste odio. E sinceramente ti vedo molto carina» mi sorrise e io ricambiai.

Non sapevo che dire.

«Dovresti fottertene comunque. Loro non sono nessuno». Aveva ragione, ma cazzo se era difficile. «Ho degli amici che potrebbero occuparsene». Mi guardò serio e mi preoccupai. Che fosse un maniaco e non me ne rendessi conto? Ma poi scoppiò a ridere come un matto e risi pure io. «Scherzavo, ma davvero. L'importante è che tu stia bene con te stessa».

Ed era quello il punto. Io stavo bene con me stessa? Dipendeva dai giorni, dalle situazioni, da tutto. E comincia a pensare che quel passo, quello di cambiare la mia vita, doveva partire solo da me.

«Son felice di aver parlato con te» gli confessai sincera.

«C'è molta differenza tra essere felici e l'essere distratti dalla felicità». E dio se quelle parole mi erano entrate in testa.

Dopo quel giorno non lo rividi più. Non sapevo nemmeno il suo nome. Avrei voluto ringraziarlo per avermi consolata, per avermi ascoltata, per essere stato lì. Ma nulla, come scomparso nel vuoto.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora