Capitolo 1

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«Cara nonna, oggi è il primo giorno d'autunno. Vorrei che tu fossi qui per vedere questi colori che tu adori che circondano e completano la città che tanto amavi. Dovresti anche vedere come tutta la città sia stata addobbata per la festa del paese, quella festa che per nulla al mondo ti saresti mai persa. Quella festa a cui mi hai sempre portata e ogni persona che incontravamo ti veniva a salutare. Dovresti vedere anche come tutte queste persone stanno portando ogni giorno mazzi di fiori bellissimi davanti al tuo negozio. Tutti fiori stupendi per la persona stupenda che sei sempre stata. Dovresti anche vedere come quest'anno sono di moda quei vecchi cappotti che avevi anche tu nel tuo armadio insieme a tanti altri vestiti che non potrò vederti più indossare. Vorrei che tu vedessi come anche lo studio nuovo di Charles sia stavo arredato sulle tonalità dei colori che ti piacevano. L'ha fatto apposta e non potrei esserne più felice.

Ma, onestamente, non vorrei che tu fossi qui solo per questo perché per quanto vorrei che tu vedessi tutto ciò, più di tutto vorrei che tu vedessi me, che io possa vedere te. Vorrei che tu possa ancora preparare i tuoi biscotti al cioccolato e quelle tisane che solo al pensiero mi sembra ancora di sentire quell'odore nauseate che tu sembrava apprezzassi davvero. Vorrei che tu possa venire come me a far colazione in centro città, o che io potessi venire al tuo negozio per darti una mano e parlare con te. anzi, penso che vorrei anche che non parlassimo. Mi basterebbe stringerti forte ancora un'altra volta, perché mi manchi. Mi manchi da morire. vorrei che tu fossi qui, adesso. Vorrei stringerti forte perché la tua mancanza mi sta quasi soffocando è solo un tuo abbraccio potrebbe farmi tornare a respirare. Mi manchi così tanto da non riuscire più a vedere uno spiraglio di lui in sta landa desolata di colori scuri. Mi manca ogni singolo momento passato insieme per cui darei tutto per poter rivivere, anche quelli più brutti - in cui discutevamo - e anche quelli più tristi - come quelli in cui piangevi per nonno pensando che io non ti vedessi. Dio, cosa darei per stringerti ancora una volta.

Vorrei ancora essere quella piccola bambina che credeva in tutto quello che le veniva detto. Come quando mi dissi che avresti raggiunto il nonno, molto prima di me e che avresti passato con lui altri momenti felici, e io desideravo così tanto venire con te, con voi che non mi rendevo veramente conto di ciò che desideravo.

L'unica cosa per cui ora sono serena e che ora sei con lui, dovunque voi siate, he siate insieme e possiate stringervi nella forza del vostro amore.

Vorrei però dirti anche grazie per tutto quello che hai sempre fatto per me. Ma è così difficile pensare che i miei occhi preferiti non saranno più in grado di guardarmi, di essere una fonte di conforto nei giorni più bui. è difficile pensare che tu non sarai lì nel momento in cui avrò bisogno di una spalla su cui piangere.

Mi mancherai per tutta la mia vita, nonna».

Appena finii di pronunciare queste parole, mi si incominciò ad appannare la vista. Le sentivo. Erano lì. Le lacrime erano lì, pronte a cadere sulle mie guance arrossate dall'emozione. Mi incamminai verso la panca in prima fila senza guardare nessuno. E mi sedetti di fianco a mio fratello, che si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: «Sono delle parole davvero dolci, sarebbe orgogliosa di te. È orgogliosa di te, dovunque lei sia in questo momento». Nella mia testa pensai: lo spero. Speravo davvero di averla resa orgogliosa. E non parlo del discorso che feci quel giorno. Ma in generale. Nella vita che lei ha vissuto da quando a questo mondo sono arrivata anch'io speravo di averla resa orgogliosa di me.
Non sempre la nonna esprimeva i suoi pensieri, soprattutto dopo che il nonno se ne era andato. Era come se la morte del nonno fosse stata anche la sua. Non la vidi quasi più sorridere, scherzare e cucinare i piatti preferiti di suo marito. Si alzava la mattina e indossava una maschera per non mostrare ai suoi clienti quanto stesse soffrendo; ma io conoscevo la mia nonna, la mia amata nonna, che si nascondeva ogni volta che le lacrime solcavano il suo volto rugoso e stremato dal passare degli anni. Parlare di lui era come colpirla al cuore. Mi capitava spesso di beccarla mentre prendeva una scatoletta di metallo posta sopra la libreria in salotto e ammirare il suo contenuto. Nonno amava leggere e quella libreria era come un santuario; conservava tutti i libri che per lui avevano un significato speciale. Quella scatola di ricordi era perfetta in quel posto. All'interno c'erano lettere, lettere d'amore che si scambiavano da giovani, e soprattutto foto, foto che ritraevano i loro momenti felici. Momenti passati ma mai dimenticati. Una in particolare me la ricordo molto bene: nonna e nonno il giorno del loro primo appuntamento, non che la prima foto che li ritraeva insieme. Lui felicissimo che guardava dritto in camera con una camicia stropicciata e il sorriso più bello del mondo e lei con un vestito giallo lungo fin sotto il ginocchio e con gli occhi sognanti che guardava lui. Quell'amore... quasi irreale oserei dire. Quell'amore che anch'io una volta provai finché non lo persi.
Un giorno, nonostante avessi capito quanto fosse restia a parlarne, quando ero più piccola le chiesi dove fosse andato il suo amore e lei mi rispose "in un posto migliore". Allora io mi arrabbiai, pensavo che lui ci avesse abbandonato ma la mia nonnina mi spiegò che non fu un sua scelta. Non decise lui di andarsene. Mi spiegò che lui avrebbe preferito mille volte stare con noi. E, da bambina ingenua, le chiesi: «Perché allora non siamo andati con lui?». Mia nonna mi guardò e vidi della serenità e speranza nei suoi occhi.
«Amore mio, un giorno lo rincontreremo il nonno. Io prima di te. E in quel momento passeremo del tempo insieme. E sarà come non lo avessimo perso. Ma tu devi andare avanti per la tua strada. Sempre. Promettilo...»

«Lo prometto» risposi. In quel momento, nella mia testolina si erano create delle immagini del nostro incontro con il nonno. Forse sarebbe stato in un giardino pieno di fiori, o forse in una casetta in montagna o magari tra le mura della loro casa...
Si, l'immaginazione fa brutti scherzi.

«Sono orgogliosa di te, Madison» disse. E fu l'unica volta che lo disse. Mi amava, lo so. Ma avrei voluto sentire più volte quella frase.
Si congratulò con me mille volte, quando presi la patente, quando fui ammessa ad Oxford e quando presi la laurea.
Non mi lamento. Lei era la nonna migliore che potessi mai desiderare. Ogni ricordo legato alla mia infanzia è legato a lei. Mi aveva aiutato a crescere, a migliorare, a imparare ad essere sempre me stessa in ogni situazione. Avrei voluto solo pochi minuti per ringraziarla, avrei voluto esserci di più in quel momento in cui lei dovette affrontare il dolore. Le avrei teso una mano come lei aveva sempre fatto con me. Le avrei dato una spalla su cui piangere, gridare, sfogarsi. Avrei voluto essere per lei ciò che lei è stata per me.

Finita la commemorazione ci dirigemmo tutti all'esterno della chiesa dove tutti i presenti cominciarono a fare le condoglianze a me e alla mia famiglia.

«Condoglianze, era una donna davvero fantastica» disse la signora Luoton, la mia vecchia insegnante di letteratura inglese alle superiori.
Era la vicina di casa della nonna ma non si era mai interessata a lei o alla sua vita o al suo negozio. Niente di niente. Come sono false le persone...
Altre persone si avvicinano per lo stesso motivo, ma troppo dover ascoltare parole come "era fantastica" o "una donna davvero amabile". Certo che lo era. Ma quelle persone lo dicevano solo per pietà. Non conoscevano mia nonna e non si erano mai interessati a lei. Era la sua fama a descriverla così.
Se andavo in un qualunque negozio in città tutti mi dicevano: «Tu sei Madison, giusto? La nipote della signora May?». Tutti l'amavano. Perché lei, a differenza di quelle persone che c'erano quel giorno, era vera. Era una donna diversa dalle altre, unica. Non la si sentiva mai spettegolare o farsi gli affari degli altri. Le persone si confidavano con lei perché sapevano che si potevano fidare. Sapevano che lei si sarebbe portata i loro segreti anche nella tomba, come successe. Non era solo la mia ancora, ma anche degli altri.

Sentendo tutte quelle affermazioni, decisi così di allontanarmi e stare sola.
Vicino alla chiesa della città c'era un piccolo parco dove andavo spesso quando ero più piccola. Mi sedetti sulla panchina posta sotto un ciliegio, il ciliegio che ho sempre amato in primavera quando spuntavano tutti i fiori. In quel momento era spoglio, essendo autunno, ma si percepiva sempre il suo calore.

Ho sempre amato stare qui in questo posto. Forse è la parte che mi piace di più di questa città. La pace che si respira è incomparabile. Davvero, starei qui sempre. Ci venivo spesso quando ero più piccola. Quando volevo sfuggire dalla monotonia delle tipiche giornate qui a Stevenage. Leggere un libro con la musica dell'aria contro le foglie mi faceva sentire bene. Chiusi gli occhi ricordando quei momenti in cui l'unico problema da affrontare era la scelta della facoltà da seguire. Un problema che non avrei mai risolto senza lei. Era stato grazie a lei che avevo preso coraggio e avevo detto ai miei quali fossero davvero i miei desideri nonostante non fossero in linea con quelli che loro avevano per me. Grazie a lei oggi sono diventata la migliore versione di me stessa, una donna che svolge il lavoro dei suoi sogni, che ha comprato una casa in centro città e che si è messa in gioco più volte in campo sentimentale dove che il suo cuore si era spezzato abbandonando il grande amore della sua vita.

«Immaginavo potessi essere qui...» disse una voce. Una voce che conoscevo fin troppo bene. La sua voce. Quella voce che avrebbe rappresentato la luce in fondo al tunnel.
Mi girai per guardarlo, mio dio. Era sempre stato meraviglioso. Ma in quel momento aveva qualcosa in più. Come in un film, mi vennero in mente i momenti passati insieme, tra baci e abbracci, tra urla e pianti. Lui era lì, proprio davanti a me e a malapena trovavo le parole per dire qualcosa di sensato. Era molto cambiato, ma quegli occhi erano sempre gli stessi. Gli stessi di cui mi innamorai follemente cinque anni prima.

«Arthur...» Il suo nome. Il nome che sarà per sempre tatuato nei miei ricordi. Il nome del mio passato che per qualche secondo mi fece sentire di nuovo viva. «Cosa ci.. fai.. qui? » cercai di chiedergli. Mi mancavano quasi le parole. Come se all'improvviso ci fosse solo lui, quando in realtà c'era sempre stato solo lui. Venne verso la panchina per sedersi accanto a me e mi abbracciò forte.
I suoi abbracci. Quanto mi erano mancati. Il calore che emanavano ogni volta. Avrei voluto rimanere così per sempre. Tra le sue braccia che mi avevano sempre protetta.

Sentii il suo fiato sul mio collo e un brivido percorrermi tutto il corpo.
«Sono qui per te» disse.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora