Capitolo 21

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Le lezioni proseguirono normalmente e all'ora di pranzo andai a sedermi al mio solito tavolo in fondo alla mensa. Nel mentre Eddy e Max continuavano a intasarmi il telefono di messaggi. Eve era stata trattenuta dal professore dell'ora precedentemente e ciò significava che avrei dovuto mangiare da sola.
«Posso sedermi?». Arthur si era fermato di fronte a me. Non era un problema, anzi. Però avrebbe attirato troppo l'attenzione. Nonostante ciò annuii e gli indicai di sedersi.
«Non hai risposto ai messaggi... » disse addentando il suo panino.
«Stavo seguendo la lezione, come avresti dovuto fare anche te... »
«Non ci capisco niente di algebra. Già non ci capivo niente quando c'erano i numeri, ora che ci sono pure le lettere impazzisco». Mi misi a ridere e lui si unì a me.
«Che cosa hai in programma questa settimana?»
«Ehm... domani ho l'esame di guida e poi penso che uscirò con Archie... ». Vidi la sua espressione cambiare non appena pronunciai il suo nome ma cercò di nasconderlo.
«Son sicuro andrà bene. I motori son la tua vita» disse sorridendo.
E io lo ringraziai con un sorriso.

Forse l'ora di pranzo non sarebbe stata poi così male. Vidi Jack passare per andare a sederci con i suoi amici e mi venne in mente di chiedere ad Arthur che cosa pensasse.
«Tu conosci bene Jack Black, vero?»
«Si, abbastanza»
«E credi sia un bravo ragazzo?»
«È un po' coglione ma infondo è premuroso». Annuii soltanto. Eve ci doveva almeno tentare con lui.

«Lo conosci anche tu, no?»

«Abbastanza, ci uscivo spesso un paio di anni fa e mi è sempre sembrato un tipo a posto»
«Ti interessa Jack?» mi chiese lui guardando alcune notifiche sul cellulare.
«Assolutamente no. Non è proprio il mio tipo». Non avrei mai potuto pensare a Jack se non come a un amico. Era tutto l'opposto di ciò che cerco in un ragazzo. E poi un ragazzo c'è lo avevo già.
«E chi sarebbe il tuo tipo? Archie Nolan?» chiese guardandomi. Tutte le volte che mi ero immaginata il mio possibile ragazzo era totalmente diverso da Archie. Era più simile ad Arthur, per quanto mi costasse ammetterlo. Non gli risposi e lui sorrise.

La giornata scolastica passò velocemente. Subito dopo le lezioni Eve mi accompagnò ad negozio di mia nonna. Il suo negozio di souvenir era in centro città vicino al comune e a un parchetto per i bambini. Era una posizione davvero comoda: per quella via ci passavano ogni giorno tantissime macchine e tantissime persone. Non a caso tutti in città sapevano chi fosse nonna e di cosa si occupasse. Entrai in negozio e vidi mia nonna spolverare di qua e di là.
«Ciao nonna!»
«Ciao, tesoro. Come è andata a scuola?»
«Bene... ». Mi venne in mente subito il compito di letteratura. Non le volevo raccontare del compito della professoressa Louton. Lei sapeva più di ogni altro che nonna amava quel libro. Non so che reazione avrebbe avuto a saperlo, quindi evitai.
«Allora, incomincia a disfare quei scatoloni nell'angolo e poi vediamo...»
Comincia a fare ciò che nonna mi aveva detto e nel mentre mi arrivò una chiamata di Archie.
«Ehi, che fai?»
«Aiuto nonna in negozio, tu?». Nel mentre mi ero seduta guadagnandomi una faccia insoddisfatta di mia nonna.
«Sono in ufficio con mio padre... ». Dal suo tono di voce capii che non gli andava affatto di stare lì. Suo padre voleva che diventasse anche lui un giornalista ma a lui l'idea non lo entusiasmava. Non sapevo in realtà cosa lui volesse fare.
«Tu che lavoro vorresti fare?»
«Se devo essere sincero mi piacerebbe fare il personal trainer a tempo pieno». Non me lo aspettavo e onestamente non mi sarebbe mai passato in mente. Era palestrato e aveva anche un fisico definito, ma non quanto lo poteva essere un personal trainer.
«Che fai domani?»
«Ho l'esame di guida... »
«In questo caso, in bocca al lupo, Madison». Sorrisi. Mi piaceva Arch. Era un bravo ragazzo. Rivolsi lo sguardo verso mia nonna che mi stava fulminando.
«Ora devo andare... »
«Ok... ehm... domani sera ti va di uscire? C'è la fiera in città» . La festa annuale di Stevenage era un evento a cui partecipava tutta la città. C'erano le giostre, le bancarelle, concerti, spettacoli e chi più ne ha ne metta.
«Si, volentieri»
Aggancia al cellulare e mimai uno scusa con le labbra verso nonna, la quale si mise a ridere. Dopo qualche ora la porta d'ingresso del negozio si aprì ed entrò Arthur.
«Ehi, scusa mi manca solo uno scatolone e poi possiamo andare»
«Ok.. ti do una mano». Gli sorrisi e insieme disfammo l'ultimo scatolone.
«Arthur!». Nonna May fece il suo ingresso e andò ad abbracciare subito il ragazzo al mio fianco. Nel mentre io andai a prendere la giacca e la borsa.
«Nonna May. Come sta?». Arthur era un leccaculo con tutti i membri della mia famiglia. Non solo con mia madre quando l'aveva convinta a lasciarmi andare a Winchester con lui, ma anche adesso con nonna. Tutti nella mia famiglia lo amavano.
«Nonna, mi spiace interrompere questo momento... ma dobbiamo andare». Salutai con un bacio nonna ed io e Arthur uscimmo dal negozio. Appena arrivammo davanti casa sua con la macchina che gli aveva prestato Brandon, rimasi a bocca aperta.
Arthur abitava non molto distante da me e la sua villa era enorme, più o meno quanto quella dei miei. Quando eravamo piccoli non viveva lì per quello ero rimasta sorpresa. L'altra casa era grande e modesta; questa invece era mastodontica quanto la mia.
«Ci siamo trasferiti qua dopo che mamma era stata nominata ai Golden Globe. Voleva andare a vivere a New York ma papà glielo ha impedito e le ha comprato questa villa...». Capii dal tono della sua voce che non gli faceva affatto piacere.
«Tranquilla, non c'è nessuno». Arthur aveva notato che continuavo a cercare con lo sguardo qualcuno.
«La mia camera è di sopra. Vuoi qualcosa da bere?»
«Dell'acqua» dissi seguendolo in cucina. Presi un bicchiere dal mobile e una bottiglia d'acqua nel frigorifero. Riempì il bicchiere e me lo appoggiò sull'isola della cucina alla quale mi ero appena seduta.
«Quindi domani prendi la patente?»
«Speriamo... ». Non avevo paura o ansia per l'esame. Sapevo guidare fin da quando ero piccola: mio papà mi portava spesso a girare con i kart e, anche se sapevo che non sono come le auto vere, la sensazione di guidare mi faceva sentire bene. Avere la patente avrebbe significato tanto per me. Dopo aver finito di bere salimmo nella camera di Arthur.

«Quindi è questa la camera di Arthur Raynard» dissi guardar domi intorno. «Me la immaginavo diversa...». Più treta, forse. Non so il perché ma Arthur mi trasmetteva delle vibrazioni diverse, non quelle da pareti bordeaux e modellini.

«Perché immaginavi la mia camera?» chiese ammiccando e con un sorriso tutt'altro che casto. Avvampai all'istante e cominciai a sentire le guance andare a fuoco, le mani sudate e un formicolio tra le gambe. Ero sicurissima che Arthur lo avesse notato, ma non disse nulla.
«Torno subito... ». Mi lasciò lì da sola e io comincia a esplorarla. Era ovvio che fosse camera sua: modellini di moto e automobili sportive, tra cui il modellino della F40 che teneva ancora, nessun poster e le pareti bordeaux. Guardai alcune foto appese e rimasi colpita. Ritraevano lui e la sua famiglia, alcune erano con i suoi amici e altre ancora insieme a Eddy e Max. Dovevano essere proprio legati. Una cosa in particolare attirò la mia attenzione: un foglio di carta piegato e un po' ingiallito incastrato nell'angolo della cornice con tutte le foto. Guardai se Arthur fosse entrato in camera ma non c'era nessuno e allora lo presi. Non potevo credere ai miei occhi. Era la lettera che gli avevo lasciato nell'armadietto anni prima quando lui si era allontanato da me. Era la mia scrittura da ragazzina di 10 anni. Credevo l'avesse completamente ignorata.
«Scusami, dovevo andare in bagno e non...». Mi guardò e capì cosa avevo tra le mani.
«Credevo l'avessi completamente ignorata... perché non mi hai mai risposto?». Mi ricordo che c'ero rimasta malissimo.
«Ad essere sinceri non lo so - disse avvicinandosi - So solo che ero un cretino...». Concordavamo su qualcosa.
«Mi dispiace... non solo per non averti risposto, ma in generale sono stato uno stupido».
Rivangare il passato non sarebbe servito a niente. Avevamo risolto ed ero felice dopo tanto tempo. Col passare degli anni ci avevo fatto l'abitudine ad non averlo più intorno, ad non averlo più come amico. Ma sentivo sempre la sua mancanza; in quel momento lui era tornato e io mi sentivo sollevata. Lo abbracciai e lui ricambiò.
«Ora Muoviti che non abbiamo tempo da perdere». Ci sedemmo entrambi su suo letto e scaricammo le foto che aveva fatto. Adoravo passare il tempo con lui.

Quello che non ti ho mai dettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora