Ricordi confusi

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Il mio cuore è, e
sarà sempre tuo.
Jane Austen

Timothè

Penso e ripenso a quello che è accaduto.
Mi porgo un dito verso le labbra.
Vorrei strapparmele.
Mi sento tremendamente a disagio con me stesso.
Non ho saputo gestire al meglio la situazione. Ho permesso a John di comportarsi come voleva, senza riuscire a bloccarlo in tempo.
Tra i due quello che ha sbagliato non sono di certo io.
Q

uesto me lo riconosco.
Per la prima volta nella mia vita sento di non aver sbagliato.
È stato John ad approfittarsi di me.
Non il contrario.
Ed io pur di proteggere la mia relazione con Anth ho accettato di diventare suo amico.
Non me ne pento ancora.
Il peggio, ormai è accaduto.
Corro senza fermarmi.
In questo momento ho soltanto bisogno di rifugiarmi tra le braccia del mio uomo, per ritrovare me stesso.
Mr. Veila è la mia ancora nei momenti peggiori.
Nei momenti in cui affondo, lui è l'unico motivo che mi permette di restare a galla e continuare a vivere anche se alcune molte, forse più del dovuto, il peso della vita inizia a farsi sentire più di qualsiasi altri cosa.
Volto l'angolo in fretta. Non posso permettermi di essere visto, sono letteralmente scappato dalla London University per andare da Anth.
D'un tratto però rallento.
Il petto inizia a pesare.
Il respiro diventa affannoso.
Soffrire di DCA in questo periodo dell'anno è forse il dolore più grande.
Ma ormai ho imparato a conviverci con questi vuoti.
Non mangio da ieri sera, questa mattina non ho fatto neanche colazione.
Sono debole.
E il sole...è lì ad occupare il cielo immenso.
Avvicino la mano destra sulla fronte e tiro via il sudore.
Mi rialzo dopo qualche minuto ed inizio a camminare.
Questa volta più lentamente.
Non posso permettermi di stare male.
Non adesso almeno.
Dopo dieci minuti circa, arrivo sotto l'appartamento di Anth con più stanchezza che voglia di vivere.
Quel numero mi ricorda quanto questa casa mi ha donato.
37.
Due numeri che insieme si completano, un pò come noi due.

*

Mr. Veila

Sobbalzo dal divano sul quale mi ero addormentato.
Attratto dal suono del citofono, mi dirigo verso le telecamere per vedere chi sia.
Non credo ai miei occhi.
Una lacrima ricopre il mio viso.
È lui.
Il mio piccolino.
Il mio Timothè.
"Non può vedermi in questo stato." Penso tra me e me.
Non posso rovinargli la vita.
Non in questo modo.
E poi...perche è qui adesso?
Gli avevo detto che ero ad un corso.
Perché è venuto fino a casa mia?
'Sono fottuto.'
Timothè continua a premere in maniera incessante il citofono.
Quel ticchettio sta diventando assordante.
Vorrei esplodere, ma le pasticche mi aiutano a rimanere calmo.
Cammino avanti e indietro per qualche minuto, inizio a mordermi le unghie dal nervoso, ma alla fine apro.
'Non permetterò alla mia salute danneggiata di fargli del male. Per il mio piccolino, ci sarò sempre.'
Appena apro la porta d'ingresso, Timothè cade tra le mie braccia.
Ed è a questo punto che mi rendo conto che le difficoltà sono altre.
Che i veri problemi non sono i miei.
Darei la mia vita per vedere il mio piccolino sempre felice e in salute.
"Anth, mi hai fatto preoccupare." Dice Timothè mentre piange poggiato sulla mia spalla.
"Piccolino, ero in bagno." Dico la prima cosa che mi viene in mente.
Ma Timothè rimane legato a me.
Al mio corpo.
"Perchè eri a casa, non dovevi essere al corso?" Mi chiede Timothè singhiozzando.
"Sono tornato pochi minuti fa." Continuo a mentire.
Ma non posso raccontargli la verità.
Non adesso che lui...sembra essere soltanto più fragile di me.
Lo stringo forte a me.
Preferirei sprofondare mille volte e rialzarmi.
Ma vedere Timothè in questo stato, mi distrugge l'anima.
Sento il suo corpo allegerirsi sotto al mio tocco, ed è proprio in quel momento che lo stringo ancora più forte.
Voglio che senta la mia presenza come una roccia sulla quale può sempre appoggiarsi.
"E tu non saresti dovuto essere alla London University?" Gli chiedo preoccupato e confuso.
"È successo..." Timothè si interrompe d'un tratto, mentre continua a piangere.
"Cos'è successo, piccolino?" Gli chiedo senza sapere più cosa dire.
Dal suo stato, percepisco che sia qualcosa di parecchio brutto.
"È successo un casino." Esclama infine Timothè scivolando dal mio abbraccio, che nonostante tutto gli ha fatto un pò da salvagente.
"Che tipo di casino?" Gli chiedo abbassandomi verso di lui.
"Non posso dirtelo." Emette lui.
"Parla Timothè. Ti prego parla." Gli chiedo più preoccupato che mai.
"Lui, ne ha approfittato..." Dice Timothè non riuscendo a concludere la frase.
"Chi?" Gli chiedo cercando di voler capire il perchè delle sue condizioni.
"Mi ha baciato, senza che glielo permettessi." Continua Timothè.
Pezzi di un puzzle che non riescono ad incastrarsi.
Timothè sta troppo male per riuscire a parlarmi di quello che gli è accaduto.
Qualcuno l'ha baciato contro la sua volontà.
"Amore, non è colpa tua. Qualunque cosa sia successa." Gli dico cercando di tranquillizzarlo.
"Invece si. Mi sento sporco." Dice Timothè in un sospiro.
"Non hai scelto tu di esserlo." Gli dico rassicurandolo.
"Resti con me, nonostante qualcuno ha toccato le mie labbra?" Mi chiede Timothè sprofondando con la testa verso le gambe.
"Resto con te sempre, soprattutto in momenti difficili come questo. Resto con te ogni volta che ne avrai il bisogno.
Puoi dubitare di qualsiasi cosa, ma non del mio esserci per te.
Di questo non dubitarne mai e poi mai. Per nessuna ragione al mondo." Dico infine porgendogli un bacio contro la fronte.
Prendo la sua faccia tra le mie mani e gli faccio sentire tutta la mia presenza possibile.
Timothè si sente sbagliato per essere stato baciato da qualcuno che non sia io.
Ma non è stata colpa sua.
E di questo ne sono sicuro.
Non metterò mai in dubbio il suo amore per me.
Voglio soltanto sapere chi è stato il colpevole di tutto questo.
Ma Timothè in questo momento è troppo scioccato per dirmelo.
In questo momento la sua mente è occupata da ricordi confusi che non gli permettono di vivere in maniera leggera.
"Timothè." Lo chiamo verso di me.
Alza il suo sguardo verso il mio è ci fissiamo per qualche secondo.
"Ti amo piccolino." Gli dico cercando di fargli trovare la giusta calma prima di farlo andare nel panico.
Lui ha bisogno di tante rassicurazioni per non andare in paranoia.
Gli prendo la mano e lo aiuto a rialzarsi.
Lo accompagno verso il bagno, e dopo averlo aiutato a sistemarsi lo aiuto ad andare verso il letto con il mio pigiama addosso.
Ha bisogno di riprendersi da quanto è accaduto.

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