Il rifugio

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Erano le 8 del mattino e Orsola Von Der Mayden aveva appena finito di fare il consueto appello al centro di accoglienza che dirigeva.

Le ragazze erano tutte in fila davanti a lei.

"Miss Orsola!", disse Marianna, la più giovane di loro. "La cena di ieri sera era immangiabile, siamo digiune da quasi 12 ore! Possiamo fare colazione, prima di correre?". Era una ragazza di piccola statura con i capelli neri e la pelle sicurissima. Aveva solo 15 anni e il suo appetito era incontenibile.

"E va bene!", fece Orsola che quella mattina indossava un vistoso tailleur blu con i bottoni dorati, molto simile alle divise delle sue ragazze.

"Seguitemi in mensa, vi farò portare la colazione. Ma dovete mangiare tutto, senza discutere!".

E si avviò per il lungo corridoio, seguita dalle giovani che iniziarono a indirizzarle gesti e linguacce non appena la direttrice girò loro le spalle

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E si avviò per il lungo corridoio, seguita dalle giovani che iniziarono a indirizzarle gesti e linguacce non appena la direttrice girò loro le spalle.

"Quante volte vi devo ripetere che riesco a vedervi? Siete circondate da monitor e telecamere. Non appena rientrerò in ufficio vi metterò una nota di demerito". Sospirò Orsola, annoiata.

Era vero: il soffitto e le pareti erano coperti di telecamere. Sui muri del corridoio vari monitor continuavano a trasmettere le immagini delle ragazze che camminavano in fila con delle espressioni in cui si poteva notare tutti il loro malcontento.

Il rifugio era un'enorme edificio privo di finestre e le allieve, alle quali venivano concesse poche ore in giardino, riuscivano a osservare il mondo esterno solo tramite i monitor collegati alle telecamere della città.

Guidate da Orsola, entrarono tutte nella sala mensa, una stanza completamente blu in cui erano stati collocati due lunghi tavoli paralleli dello stesso colore.

"Sedetevi!", ordinò la direttrice, mentre le giovani si sistemavano svogliate sulle sedie.

Orsola sfiorò un display sulla parete. Da una porta elettronica laterale uscirono due grandi carrelli d'acciaio blu su cui erano state poste delle pietanze.

I carrelli elettronici che erano collegati al PC della cucina si mossero da soli, percorrendo i tavoli per tutta la loro lunghezza, mentre le ragazze prelevavano i vassoi con le loro colazioni: una tazza di latte sintetico e una fetta di pane grigiastro.

Orsola guardò tutto compiaciuta, poi si avvicinò a uno dei tavoli e sollevò una fetta di pane: "Oggi come vedete, non abbiamo una colazione liofilizzata!", esclamò soddisfatta. "Questa non è una barretta energetica, è pane vero, fatto con farina di...di...". Si interruppe in evidente difficoltà. Da molti anni la sua leadership aveva abolito le coltivazioni con la scusa che piantare il grano inquinasse i terreni. Il governo aveva voluto favorire le farine create in laboratorio, utilizzando sostanze di cui persino Orsola ignorava l'origine.

"Beh, ora non ricordo il nome della farina! È tardi, iniziate a mangiare!".

Annoiate e affamate, le ragazze cominciarono ad addentare il pane. Subito i loro volti si contrassero in smorfie di disgusto. Dalle tavole si levò un brusio: "Ma che schifo! Cos'è? Era meglio la barretta energetica, per lo meno sapeva di cioccolato...".

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