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Se per baciarti dovessi poi andare all'inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci.

- Shakespeare

Kira distolse gli occhi dal libro. «Davvero?», domandò, alzando lo sguardo su Kayra, con un tono di voce più scettico di quanto avrebbe voluto.
Ramin la fulminò con lo sguardo - una delle rarissime volte che lo faceva - ma Kayra doveva aver capito che non era stato intenzionale quel tono di voce, perché mise una mano sul braccio del ragazzo, come a dirgli di stare calmo e annuì rivolta a Kira. «Il libro che stai leggendo... puoi ripetermi cosa dice?»

«Ripeterti? Non... non leggevo ad alta voce», replicò l'amica, abbassando lo sguardo sulla copertina del volume e guardando istintivamente il nome dell'autore. Robert Wilson. Il padre - il vero padre - di Kayra. Odiava leggere ad alta voce, le ricordava un giorno che avrebbe voluto dimenticare più d'ogni altra cosa.

Il giorno in cui sua madre si era suicidata.

Era successo dieci anni prima, quando lei aveva sei anni. Era notte, e June - quello era il nome della madre di Kira - aveva appena finito di leggere alla figlia un capitolo della sua storia preferita ed era andata nella sua camera. Kira non si era addormentata subito ed era rimasta sveglia per quasi un'ora prima di sentire i ripetuti singhiozzi della madre. Allora si era alzata per andare a vedere cos'avesse sua madre, ma Arik l'aveva rassicurata promettendole che se ne sarebbe occupato lui. Qualche minuto dopo, quando il padre aveva raggiunto June, aveva sentito la voce di lui, calma e rassicurante, quella di lei che si alzava e di nuovo quella di lui, che cercava di sovrastare quella della moglie.

Poi June aveva smesso di parlare.

Kira aveva udito un verso strozzato, e poi più niente, se non il padre che piangeva.
Allarmata, si era precipitata nella stanza dei genitori, ma aveva trovato Arik che le sbarrava la strada. Sfruttando la sua piccola statura, era sgusciata sotto le gambe del padre ed era entrata nella stanza. Appesa con una corda legata ad una delle travi del soffitto c'era sua madre. Aveva la corda stretta al collo. Le gambe penzolavano almeno ad un metro da terra e tutto il corpo era immobile. La pelle era più pallida del solito e gli occhi arrossati, come se avesse pianto di recente. Tra le dita di una mano teneva una foto di un uomo. Kira gliel'aveva sfilata lentamente, sobbalzando quando aveva sfiorato un dito della madre e l'aveva sentito freddo.

«No», aveva sussurrato, indietreggiando. Si era voltata di scatto verso il padre. «Cos'ha la mamma?», gli aveva domandato. Lo sapeva, lo sapeva benissimo cos'aveva. Ma non voleva crederci. Non poteva.
«Kira...», aveva iniziato il padre. «La mamma non soffrirà più», le aveva detto. «Soffriva, soffriva tanto. Ma adesso è finita. Non avrà più dolore. Lei... ha scelto così».

Kira era corsa in camera sua e si era lasciata cadere sul letto, ma non aveva pianto. Si era limitata a fissare la foto, scoprendo che si trattava di un uomo circa dell'età di June e che era attraversata da una scritta: Addio, mia dolce June. Spero che questa foto ti tenga compagnia al posto mio.
Da quel momento, aveva sempre associato la lettura ad alta voce al suicidio di sua madre, perché l'ultima cosa che aveva fatto era stato leggere.

Ripensandoci, la foto aveva un ché di familiare... Dove l'aveva vista?

«Oh, sì, invece, leggevi ad alta voce», replicò Kayra riportandola al presente.
«Borbottavi leggendo», precisò Ramin. Kira sbuffò. «Io non... Oh, lasciamo perdere». Riluttante, acconsentì a leggere. «Ogni cent'anni o più nasce un Mutaforma, chiamato Mutaforma Universale, con il potere di trasformarsi in qualsiasi animale voglia. Ognuno di questi speciali Mutaforma ha un Tacheer, un compagno - solitamente Umano ma alcune volte anche SemiUmano - con cui condivide visioni, pensieri o emozioni...»

Wilderness. Dark HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora