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Lyon

Perché non l'ho lasciata a casa sua? Bella domanda. Una risposta che dovrei dare prima a me stesso che a lei. Potrei ingannare entrambi dicendole che si era addormentata nella mia auto, che era completamente bagnata e infreddolita, oltre ad avere la febbre, ma in realtà, non ci ho pensato due volte all'idea di prendermi cura di lei. Anzi, volevo prendermi io cura di lei, come si è presa cura di me medicandomi la ferita quando mi sono catapultato nella sua stanza, dopo averla esclusa dalla partita. Siamo sempre qui, allo stesso punto. Io voglio proteggere lei e forse... lei vuole proteggere me. Questa spiegazione si palesa chiara e nitida nella mia mente rischiarando tutti i dubbi che si erano materializzati nella mia mente cercando di spiegare perché oggi avesse deciso di giocare senza di me.

«Eri completamente bagnata e raffreddata, avrei solo allungato la strada portandoti a casa e magari avrei peggiorato la tua situazione, perciò...» cerco di cavarmela con una scusa.

«Grazie...» dice con le gote rosee. Prendo il termometro senza contatto, trentasette e mezzo.

«Vado a prepararti qualcosa di caldo, tu intanto vai a cambiarti. Al piano di sopra, accanto alla mia stanza, c'è una camera vuota, ti ho preparato il letto e qualcosa da indossare per questa notte, mentre alla tua destra, puoi trovare un bagno caldo che ti aspetta. Ne hai bisogno.»

Jenna

Fa ondeggiare, con un cenno della testa, i riccioli bagnati. Lo seguo mentre si solleva e si dirige alla penisola. Non posso fare a meno di studiare il suo dorso nudo, elegante e lucido, per via delle perle di acqua che si diramano dai suoi capelli, ancora bagnati, le braccia distese, che si muovono alla ricerca di qualcosa, definite dagli allenamenti. È più muscoloso rispetto a quando ci siamo incontrati la prima volta, anche i suoi occhi hanno una luce diversa, più accesa, limpida e non più malinconica come quella di stamattina.

«Ancora lì?» dice facendo capolino con la testa da un'anta della dispensa. Come colta in flagrante mi sollevo rapidamente e, senza accorgermene, inciampo – da sola – incastrandomi nella felpa che indosso. Mi ritrovo a terra in un secondo e l'attimo dopo Lyon è di nuovo avanti a me.

Scuoto la testa.

«Sono un disastro» farfuglio. Le sue dita prendono in ostaggio il mio mento costringendomi a guardarlo negli occhi.

«Smettila di buttarti giù» dice con tono di voce perentorio intimidendomi «e smettila di scusarti per ogni cosa» aggiunge. I nostri occhi si scrutano ancora come cercassero di andare oltre le parole. Quando le sue dita mi lasciano, sono costretta a sorreggermi con una mano sul pavimento e capisco solo ora che mi ero affidata completamente alla sua presa. Mi tende le mani per aiutarmi a sollevarmi e una volta in piedi mi soffermo a guardarlo, mentre mi da le spalle e si dirige alla penisola. Intreccio le braccia al petto, come volessi coprirmi dal suo sguardo da cui mi sono sentita spogliata e che continua a scrutami dal momento che non seguo il suo consiglio. Oh Lyon... non so cosa mi stia succedendo, ma averti incontrato non è più così scontato, penso mentre salgo le scale e mi dirigo subito nel bagno che mi aveva indicato.

Il marmo bianco riveste questo angolo, anzi, questo salone di benessere che non credo sia l'unico nell'attico di Lyon. Non faccio a meno di osservare compiaciuta i fiori di aloe che galleggiano sulla superficie dell'acqua e senza pensarci due volte mi privo della sua felpa. Non so se sia per via della febbre che ho ricordi sfocati del momento in cui mi sono cambiata nella sua auto, ma invadente, esclusivo e prepotente si fa nella mia mente l'immagine del suo volto a pochi centimetri dal mio, tenuto tra le sue salde dita per impedirmi di perdere il contatto con i suoi occhi, ammesso che, se in quegli occhi ci si imbatte, sia possibile resisterli.

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora