Capitolo 21 - Il risveglio dalla rabbia

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Mi svegliai con una sensazione di malessere che mi stringeva lo stomaco. La testa mi pulsava, il corpo era pesante e, per un attimo, non capii dove mi trovassi. Le coperte erano morbide, estranee, e la stanza...non era la mia.

Mi alzai di scatto, il cuore accelerato. Mi guardai intorno, riconoscendo immediatamente l'arredamento. Ero a casa di Ethan.

"Cosa cazzo..."

Mi afferrai la testa, cercando di ricordare l'ultima cosa che fosse successa. La festa. La pioggia. E poi...lui. Mi aveva portato qui, senza nemmeno chiedermi. Aveva preso una decisione per me, come se fossi una bambina incapace di badare a me stessa.

Mi alzai dal letto, barcollando leggermente, ancora stordita.

Mi infilai rapidamente le scarpe, cercando di calmarmi, ma la rabbia mi rendeva ancora più difficile.

Scivolai fuori dalla stanza e mi diressi verso il soggiorno. Naturalmente, lì c'era lui, Ethan, seduto sul divano. Alzò lo sguardo quando mi vide, con un sorriso leggero, quasi ironico.

"Buongiorno diva." Disse, con quel tono insopportabile calmo.

La sua voce fece esplodere la mia rabbia.

"Sei completamente impazzito Ethan?" Mi hai portata qui senza chiedermi il permesso! Ma chi cazzo ti credi di essere?"
"Calmati, Emily. Eri ubriaca, stavi per svenire in mezzo alla strada. Non potevo lasciarti lì, no?"

"Calmarmi!? E quindi cosa fai? Mi prendi in braccio e mi porti qui, come se non avessi una casa? Come se non sapessi cosa voglio? Non sei il mio babysitter, Ethan! Non hai nessun diritto di prendere decisioni per me!"

"Ti ho salvato dal fare una figura di merda gigantesca. Avresti camminato ubriaca sotto la pioggia fino a casa tua, cadendo ogni due passi. Mi dovresti ringraziare, non urlarmi contro."

"Ringraziarti?!" alzai la voce avvicinandomi minacciosamente. "Io non ti devo proprio niente, Ethan! Niente! Non ti ho mai chiesto di portarti qui. Io so badare a me stessa, e non ho bisogno di te che fai il salvatore."

"Certo, lo vedo quanto sei capace di badare a te stessa. Ogni volta che c'è un problema, Emily, sei sempre tu a finirci in mezzo. E chi ti tira fuori dai casini, eh? Sono sempre io."

Le sue parole colpirono nel segno, ma non lo avrei mai ammesso. Lo guardai, il cuore che mi batteva in gola per la rabbia, ma anche per qualcosa di più. Un'ombra di verità nelle sue parole. Ma non potevo dargliela vinta.

"Non capisci niente, Ethan. Tu non puoi risolvere tutto con la forza, con la tua arroganza. Non sei l'eroe di questa storia, e io non sono una damigella in pericolo."

Il silenzio calò pesante nella stanza. Mi sentivo ancora arrabbiata, confusa, e soprattutto vulnerabile. Ma Ethan non si mosse, non disse nulla per un lungo istante.

"Se non vuoi il mio aiuto, allora dimostrami che non hai bisogno di me. Ma finché non lo fai, Emily, non venirmi a dire come comportarmi.

Rimasi a fissarlo, il cuore che batteva sempre più forte, incapace di trovare una risposta.

Mi voltai senza dire una parola, e corsi verso la porta. Non potevo restare lì un secondo in più. Non potevo sopportare quell'idea. Ma appena afferrai la maniglia, sentii la sua foce dietro di me, bassa e tagliente.

"Emily."

Mi fermai, con il fiato corto.

Non volevo restare lì un secondo in più. Il cuore mi batteva forte, la rabbia e la confusione mi offuscava la mente. Con un movimento deciso, aprii la porta di casa di Ethan e mi buttai fuori, senza nemmeno voltarmi.

Non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare, ma una cosa era certa: dovevo allontanarmi da lui, subito. Le sue parola mi ronzavano ancora nella testa, come un veleno che non riuscivo a espellere. Aveva sempre quella dannata capacità di farmi sentire inadeguata, come se non fossi mai abbastanza capace di cavarmela da sola.

Scesi dal marciapiede, gli occhi puntati dritti davanti a me. Non prestavo attenzione alle macchine che passavano, non alla strada trafficata. Sentivo solo il mio respiro affannato, il rimbombo dei miei passi e quella voce nella mia testa che mi diceva di andarmene, di fuggire.

Ma poi all'improvviso, sentii qualcuno urlare il mio nome.

"Emily! Attenta!"

Mi voltai solo per un istante, giusto in tempo per vedere Ethan che correva verso di me, con gli occhi spalancati dalla paura. Non capii cosa stava succedendo fino a quando non sentii il rumore assordante di una macchina che frenava. Una macchina che veniva dritto verso di me.

Il tempo sembrò rallentare. Non avevo il controllo del mio corpo. Mi bloccai lì, in mezzo alla strada, paralizzata dal terrore.

Poi all'improvviso, sentii la stretta forte attorno alla vita. Qualcuno mi tirò di colpo indietro, facendomi perdere l'equilibrio e crollare sul marciapiede.

Ethan.

Il suo respiro era pesante, agitato. Mi aveva presa all'ultimo secondo, salvandomi da un destino che non avevo nemmeno realizzato stava per travolgermi.

Mi guardò con una furia incontrollata nei suoi occhi, il petto che si alzava e abbassava rapidamente. "Emily...stavi per rischiare la vita. Sei...sei proprio stupida!"

Ethan mi guardava ancora, furioso ma anche terrorizzato. C'era qualcosa nei suoi occhi che non avevo mai visto prima.

Forse paura...Preoccupazione?

Non riuscivo a capire, ma mi sentivo incredibilmente piccola in quel momento. Non sapevo cosa dire, e forse per la prima volta, nemmeno volevo parlare.

Senza darmi tempo, Ethan mi prese per il braccio, con una delicatezza inaspettata, e mi trascinò verso la sua macchina parcheggiata fuori casa sua.

"Vieni. Ti accompagno a casa." Disse, con la voce ancora tesa.

Salii nella macchina senza protestare, ancora in stato di shock. La pioggia cominciava a cadere di nuovo, leggera, e il rumore delle gocce sui vetri era l'unica cosa che rompeva il silenzio tra noi.

Dopo qualche minuto, parcheggiò davanti a casa mia. Non disse nulla, e nemmeno io. Aprii la portiera e scesi dalla macchina, senza guardarlo. Mi sentivo ancora scossa, ancora confusa, e soprattutto esausta. Volevo solo entrare in casa, stendermi sul letto e dimenticare tutto.

Ma proprio mentre stavo per chiudere la portiera, lo sentii parlare, la sua voce più calma e più controllata.

"Emily..." si fermò per un attimo come se cercasse le parole giuste. "Cerca di non mettere in pericolo la tua vita solo per dimostrarmi qualcosa. Non vale la pena."

Lo guardai per un istante, senza sapere come rispondere. Ero troppo stanca, troppo esausta per discutere ancora. Chiusi la portiera senza dire nulla e corsi verso casa, la pioggia che mi bagnava i vestiti.

Arrivata in camera, mi lasciai cadere nel letto senza nemmeno cambiarmi. Il cuscino freddo sotto la testa mi diede un leggero sollievo, ma la mia mente era ancora piena di tutto quello che era appena successo. Di Ethan, della macchina, della pioggia. Delle sue parole.

Mi voltai su un fianco chiudendo gli occhi con forza.

Ma non riuscivo a smettere di pensare a quello che aveva appena detto. Non vale la pena.

Forse aveva ragione.

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