capitolo 103 - Tre botte e parole

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La palestra era immersa nel suono delle risate, delle scarpe che scivolavano sul pavimento lucido e dei rimbalzi del pallone. Il professore aveva diviso la classe a coppie, e, come se non bastasse, mi era toccato proprio Ethan Hayes.

Lo odiavo. Lo odiavo con tutto il cuore.

Ci trovammo faccia a faccia al centro del campo, soli. Il resto della classe osservava da lontano, aspettando il proprio turno, mentre noi dovevamo affrontarci in un uno contro uno.

Ethan si sistemò la maglietta, mostrando un sorriso provocatorio che avrei voluto cancellargli a schiaffi.
"Ti batterò," disse, con quella sicurezza irritante che sembrava far parte del suo DNA.

Lo fissai, alzando un sopracciglio. "Mh, non credo proprio."

Il fischio del professore ruppe il silenzio. Mi lanciai subito verso il pallone, anticipandolo. Ethan mi seguì, ma, per quanto fosse veloce, io ero più rapida. Riuscii a superarlo con un paio di dribbling, portandomi vicina alla porta improvvisata.

"Stronza," sbottò dietro di me, il fiato corto.

Non potei fare a meno di ridere, senza voltarmi. Ma la mia concentrazione si spezzò quando sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi.

Mi bloccai di colpo, sorpresa. "Ma che diavolo fai?" urlai, cercando di allontanarmi.

Lui non rispose, approfittando del momento per prendermi il pallone. Si allontanò di corsa, tirando un calcio deciso verso la porta.

La palla entrò. Si girò verso di me con un sorrisetto trionfante, alzando il dito medio. "Te l'avevo detto."

Stringendo i denti, tornai al centro del campo. Stavolta non gli avrei lasciato scampo.

Quando il professore fischiò di nuovo, mi gettai immediatamente sulla palla. Ethan cercava di starmi dietro, ma non era abbastanza veloce. Cambiavo direzione all'improvviso, lasciandolo indietro. Mi sentivo invincibile.

Poi accadde l'imprevisto.

Tirai la palla con tutta la forza che avevo, ma invece di andare verso la porta, il pallone prese una traiettoria sbagliata. Colpì Rebecca, che stava seduta a bordo campo, dritta in faccia.

La ragazza si portò le mani al naso, mentre il pallone rotolava via. "Ma sei completamente scema?!" urlò, alzandosi di scatto.

Mi fermai per un momento, guardandola. Poi, senza riuscire a trattenermi, scoppiai a ridere. "Scusa," dissi, anche se il tono della mia voce non era esattamente convincente.

Rebecca non la prese bene. "Sei proprio una stronza, lo sai? Non bastava essere pessima a giocare, dovevi pure colpirmi."

La sua frase mi colpì più di quanto volessi ammettere, ma non lo diedi a vedere. Tornai a giocare, ignorandola.


Ero furiosa, ma decisa a battere Ethan, a qualunque costo. Quando il gioco riprese, segnai tre volte di fila, lasciandolo dietro ogni volta. Ogni volta che la palla entrava in porta, gli facevo la linguaccia, godendomi la sua frustrazione.

Il fischio finale del professore segnò la fine della partita. Si avvicinò a noi con un sorriso divertito. "Bravo, Ethan. Ti sei fatto battere da una ragazza," disse, dandogli una pacca sulla spalla. Poi si girò verso di me, allungandomi la mano. "Ottimo lavoro, Emily. Sei stata impeccabile."

Ethan mi guardò, stringendo i denti. "Non parlare."

"Non avevo intenzione di farlo," ribattei, lanciandogli uno sguardo tagliente.


Ero esausta. Mi accasciai a terra, asciugandomi il sudore dalla fronte con il braccio. Ethan si avvicinò, lanciandomi un asciugamano. Lo presi senza ringraziarlo, tamponandomi il viso.

"Non sei molto educata, eh?" disse, sedendosi accanto a me.

"Non ho bisogno di essere educata con te," ribattei, guardando il campo davanti a me.

Rise amaramente. "Sempre così dolce, Emily. Sai, è un miracolo che qualcuno ti sopporti."

"Strano, perché sembra che tu non riesca a stare lontano da me," risposi, con un sorrisetto provocatorio.

"Perché è divertente guardarti fallire," replicò, avvicinandosi di più.

Mi voltai di scatto, gli occhi che fiammeggiavano di rabbia. "Tu sei insopportabile, lo sai? Sei solo un idiota con un ego troppo grande per il tuo cervello minuscolo."

Lui rise, ma i suoi occhi scintillavano di una luce pericolosa. "Sai qual è il problema, Emily? Che per quanto tu mi odi, non riesci a smettere di pensare a me."

"Non ti passo nemmeno per l'anticamera del cervello," ribattei, alzandomi di scatto.

Mi afferrò per il polso, costringendomi a fermarmi. "Davvero? Perché io non riesco a smettere di pensare a te."

Lo guardai, sorpresa. Poi lui sorrise, come se avesse appena fatto una battuta.

"Peccato che siano pensieri su come farti perdere."

Mi liberai dalla sua presa, furiosa. "Sei insopportabile."

"Lo so," rispose con un sorriso arrogante, mentre io mi allontanavo, stringendo i denti.

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