Capitolo 1

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Era uno di quei ragazzi che si crede figo e se la tira da matti. Un giorno ero rimasta sola con lui perché tutte e due andavamo in metro e ci voleva un po' prima di arrivare alla fermata. Ero nervosa. Non sapevo cosa dire e io odio quel tipo di silenzio che ti sembra assordante. A me lui non piaceva affatto, l'unica cosa che trovavo decente in lui erano i suoi occhi verdi. Trasse fuori da un pacchetto una sigaretta. Oh no, no. Io odio le sigarette e le odierò sempre dopo quello che è successo a mio zio (è morto di tumore al polmone perché fumava troppo) .Cercò nelle sue tasche un accendino, ma non lo trovò. Imprecò. Mi guardò. I suoi occhi. Una parola: meravigliosi. Come mai erano stati. Mi chiese se avevo un accendino. Io gli dissi di no. Allora andò da un marocchino che c'era un po' più avanti rispetto a noi e ne comprò uno. Lo vidi accendersi la sigaretta come se fosse un professionista. Che gesto odioso! Avevo voglia di prendere quella sigaretta, buttarla a terra e schiacciarla con le scarpe. Ero ancora più nervosa di quanto lo fossi già prima. Mi iniziai a guardare le scarpe per evitare che la mia voglia di distruggere quella sigaretta mi pervadesse. Prese una boccata di fumo e mi inondò letteralmente. Mi guardò di nuovo abbassandosi leggermente per guardarmi bene negli occhi. Mi chiese cosa avessi. Niente, non avevo niente, gli risposi. Mi dava fastidio tutto dei suoi modi. Il suo credersi figo, come prendeva boccate d'aria dopo aver aspirato affannosamente da quella maledetta sigaretta, come si vestiva, come parlava... Ma non mi incantava. Avevo sentito qualche giorno prima che voleva andare a letto con me perché ero l'unica che non lo cagava minimamente e lo schifava. Ma io non volevo neanche toccare quel ragazzo. Neanche morta. Neanche se fosse stato l'unico maschio esistente sulla terra, avrei preferito diventare lesbica. Purtroppo lui sapeva fin troppo bene cosa piaceva a una ragazza. Aveva sedotto un casino di ragazze. Erano quasi tutte ragazze con cui era andato a letto. Solo Jen, la mia migliore amica, non era andata a letto con lui. Lei è una ragazza forte e decisa. Dopo un mese e mezzo lei non voleva fare sesso con lui e lui si era stancato di aspettarla. Mi preoccupava un po' la situazione, ma non così tanto. Se Jen ce l'aveva fatta potevo farcela anche io. Bastava che lui non scoprisse il mio unico punto debole: i suoi occhi. Non dovevo dirlo nemmeno a Jen, so che lui sarebbe riuscito a cavarglielo in qualche modo anche se lei mi avesse giurato di non dirlo a nessuno. Poi smise di guardarmi e trassi un sospiro di sollievo. Odiavo anche quando mi guardava. Finalmente arrivammo alla metro. Salimmo e c'erano giusto due posti liberi. Wow. Io mi sedetti più esternamente e lui vicino a me. Guardavo le insegne dei cartelli pubblicitari. Mi arrivò un messaggio. Non feci in tempo a tirare fuori il cellulare dalla tasca che scorsi lui che mi guardava. Era un messaggio suo. Ma perché mi scriveva se poteva benissimo parlarmi normalmente?! Bah. Non lo capivo.
Mi aveva scritto:
Come va?
E io:
-Va. Tu?
-Beh, insomma
-Perché?
-Vorrei conquistare una ragazza, ma lei è ostinata e non capisco perché.
-Prova a chiederglielo.
...
Non rispose più e non mi scrisse niente. Bah. Lui a volte è davvero complicato. Tornai a guardare i cartelli pubblicitari finché lui scese e lo salutai e lui ricambiò il saluto.

Il giorno dopo fu un giorno normalissimo come quello dopo, quello dopo, ma non quello dopo ancora. Era lunedì. Il giorno in cui avremmo dovuto cambiare i posti. Speravo solo che non mi avrebbero spostato da dove ero: in fondo. Stavo così bene laggiù. Per fortuna non mi spostarono, ma indovina che compagno di banco mi appiopparono? Lui, Luca. Triplo Wow. Era lui che parlava con me a volte e mi chiedeva come avevo fatto un esercizio o di prestargli qualcosa. Ogni mattina sentivo l'alone di fumo che mi passava di fianco e io mi tappavo il naso. Con me però Luca era gentile. E iniziò progressivamente a starmi più simpatico di prima.
Un giovedì dopo la scuola restammo soli. Iniziammo a parlare un po'. Poi lui mi chiese di me e gli raccontai da dove venivo, la mia famiglia e un po' delle mie passioni.
Poi gli chiesi di lui e si rabbuiò. E mi disse:"Sai, io sono stato adottato. Mia madre è morta perché mio padre l'aveva uccisa. Lui è un alcolizzato e non si è mai reso conto di quello che ha fatto e adesso è in prigione." Una lacrima scese dal suo occhio. Io lo notai. Per fortuna avevo ancora i fazzoletti e gliene porsi uno. Lui mi ringraziò e continuò il racconto. "Perciò sono stato adottato, ma i miei genitori adottivi vogliono costringermi a pensarli come miei veri genitori, come se non fosse successo niente a mia madre!" Quasi urlava.
"Io sono molto arrabbiato con loro." Le lacrime scesero più velocemente sul suo viso. Mi parai davanti a lui. Lo fermai e lo abbracciai forte. Restammo un attimo lì e poi ricominciammo a camminare. "L'amore vero non esiste, le favole a lieto fine sono solo bugie per farci vivere con la speranza di una cosa che non esiste e non esisterà mai. Non ho mai amato le ragazze con cui sono stato, sono tutte così pallose, non fanno niente dalla mattina alla sera. Stavo con loro solo perché erano belle. Sai, ho iniziato a fumare perché è l'unico sfogo che ho e poi tutti i miei amici fumano. Loro sono rimasti la mia unica famiglia. Odio tutti i professori perché mi ricordano i miei genitori adottivi, mi vogliono imporre cose che io non voglio fare!" Arrivammo poi alla metro e restammo zitti per un po'. Mi disse grazie di quello che avevo fatto per lui e che queste cose non le aveva mai dette a nessuno. Sapeva di potersi fidare di me.
Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere.
Poco dopo lui dovette scendere.

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