Capitolo 31

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- C-cavie umane? - ripeté Eren incredulo. Levi annuì senza proferire parola.

Lo sguardo vitreo, perso nel cielo colorato dai fuochi. Quei ricordi vagavano nella sua mente da troppo tempo. Era talmente piccolo quando successe, eppure riusciva a raccontare ancora quei fatti.

Incisi per sempre nella sua memoria e sulla pelle. Talmente vividi da poter rimembrare il dolore da essi provocato.

Ma Eren doveva sapere. Non sapeva perché, dopo quel pomeriggio passato a divertirsi insieme, si sentiva pronto a tirar fuori la sua storia.

Quel ragazzo era... come poteva dire? La felicità... sì, era la felicità che aveva cercato per tanto tempo. La sua anima gemella. Il suo amore.

Renderlo partecipe della sua vita, lo percepiva come un passo importante a ciò che stavano vivendo. Come lui aveva fatto, ora toccava a Levi. Doveva mostrare la parte più fragile di lui, doveva essere sincero, fargli capire che si fidava tanto da rendersi completamente vulnerabile ai suoi occhi.

I fuochi iniziarono a friggere nel cielo, in gioiose luci dorate e magenta. Il luogo prendeva il colore di quei raggi, rischiarando le betulle scosse da un leggero venticello.

Levi prese un grosso respiro ed iniziò a raccontare - Quando ero piccolo vivevo con mia madre. Mio padre non so chi sia... anzi, non so nemmeno se lui sa della mia esistenza... - fece un sospiro mentre le dita giocavano distrattamente con i fili d'erba tra le sue gambe - Eravamo poveri. Mia madre non ha mai prestato molta attenzione a me... era una puttana... davvero lo era. - scosse la testa - Per racimolare più soldi iniziò a farsela con gente di un certo livello... sai, i politici amano questo genere di cose... - Eren deglutì, stringendo ancora di più il corpo del moro tra le sue braccia - Ciò che non sapevo, era che aveva un certo debito con degli stronzi dei quartieri bassi. Loro... - si fermò stringendo la mano in un pugno. Si coprì il volto con il palmo chiudendo gli occhi, cercando di scacciare quell'immagine dalla propria testa - Sono entrati una notte... io dormivo nell'armadio quindi non mi hanno nemmeno visto. Mia madre ha urlato per una buona mezz'ora... ma non ho chiari ricordi di quel momento, so solo che quando sono uscito dal mio nascondiglio era morta. - il ragazzo sussultò mentre il corpo appoggiato al suo petto iniziava a tremare visibilmente - C'era così tanta merda, Eren. Tu non puoi immaginare lo schifo che c'era. Sangue, terra... c'era... davvero uno schifo...

- Sono rimasto in mezzo a quel lerciume ... per quattro giorni... si erano quattro. - proseguì asciugandosi la fronte, sembrò calmarsi un poco anche se il respiro non era del tutto regolare - Mia madre aveva un fratello... Non ci parlava mai, anche perché lui non aveva di certo voglia di fare conversazione con una prostituta. Nessuno sapeva della mia esistenza, perciò immagina la sua sorpresa quando mi trovò lì in quella stanza - sorrise amaramente - Ho vissuto con lui per qualche anno ma non c'era così tanta differenza dal vivere soli e con quell'uomo. Un tipo con la puzza sotto il naso, un poliziotto o che cazzo era... Quando mi rimise in forze, mi lasciò in uno squallido manicomio. Pensava che fossi impazzito dopo quella vicenda, non so se è così ma credo che un minimo di ragione l'avesse, chissà... -.

- È... è qui che incontrasti Hanji? - luci rosa illuminarono il volto di entrambi quando Eren azzardò una domanda.

- Oh no... - rispose Levi appoggiandosi con la testa alla spalla del più piccolo - Non ero ancora in Italia... non mi ricordo il mio luogo di origine; a dirtela tutta, non m'interessa.
Rimasi lì dentro per qualche mese. Poi tornarono... quegli uomini, gli stessi che avevano ucciso mia madre. Probabilmente erano riusciti ad avere il consenso da qualcuno non lo so, però in pochi secondi mi ritrovai come figlio adottivo di assassini. Parlavano di un debito da saldare o qualcosa del genere. Avevano ben pensato di prendermi come risarcimento per le cazzate di quella stronza. - sospirò - Non ci misero molto a sbarazzarsi di me. Mi vendettero a dei contrabbandieri la sera stessa. Tsk, quelli erano dei ricercatori, almeno così si definivano. Eravamo si e no, una quindicina di bambini in una stiva, chiusi in gabbia come animali. Loro ci usavano per testare medicinali, steroidi, droghe. Ci lasciavano a patire la fame per testare la nostra resistenza alle medicine. Ci picchiavano, ferivano per vedere la nostra reazione - si guardò la mano girandola un paio di volte come ad osservare qualcosa di invisibile che la ricopriva - La mia forza è il risultato di quegli esperimenti... - disse a bruciapelo. Il ragazzo non aveva parole e anche se ne avesse avute non avrebbe avuto la forza per pronunciarle. Levi lasciò ricadere la mano sul suo stomaco come rassegnato - Io ero il numero 12... Esperimento 12... mi chiamavano così... - altri fuochi esplosero e il moro rimase incantato a guardarli - Non è stato sempre brutto però... Ho conosciuto una bambin lì... era simpatica ed era l'unica tra di noi che sapeva parlare decentemente. Diceva di chiamarsi Isabelle, me lo ricordo benissimo perché continuava a puntarsi il dito sul petto e ripetere "Isabelle" così tante volte da farmi venire la nausea. Mi sono divertito per un periodo, tra una tortura e l'altra. Ma Isabelle non era forte. Mangiava poco, dormiva spesso, finché non successe l'inevitabile e di nuovo il mondo è piombato nel silenzio e nel dolore - le lacrime iniziarono a spingere prepotentemente dai suoi occhi grigi. Non voleva piangere, l'aveva fatto così tante volte ripensando a quella bambina. Forse l'unica vera amica che avesse mai avuto - Passarono un paio di anni, anche se a me sembrò un'eternità. Uno dopo l'altro i bambini morivano e io restavo solo, sempre più solo, fin quando non fui l'ultimo. L'unico ad essere sopravvissuto, ah! Bella merda... dicevano di aver trovato la cavia perfetta, lo vedevo da come esultavano alla mia reazione agli steroidi. Pensavo che non sarebbe mai finita, ho pensato seriamente che la mia vita sarebbe stata un susseguirsi di dolori infiniti. Poi un giorno degli uomini stranieri irruppero nella stiva, quella fu la prima volta che sentì parlare Italiano. Sfondarono la gabbia e mi fecero uscire alla luce del sole. Dopo anni passati sotto la luce artificiale mi sembrava di aver realizzato un sogno.
Mi ricoverarono in un manicomio, di nuovo. Cercarono di farmi interagire con gli altri, cercarono di fare così tante cose con me... ma sinceramente parlare con persone che non sapevano un cazzo di quello che avevo passato non me ne fregava più di tanto. Ed è lì che incontrai Hanji... - sollevò la testa, mentre foglioline di salice danzavano a ritmo della brezza - Quando tutti sembravano essersi rassegnati, lei arrivò con il suo sorriso e i suoi modi bizzarri di fare. Ricordo che la prima volta s'era seduta accanto a me sul pavimento fissando il muro davanti a lei. Ho pensato "Questa è deficiente" - rise - ma a lungo andare ha destato la mia curiosità e pian piano riuscì a fidarmi. Divenne... la mamma che avevo sempre voluto. Quando compii tredici anni mi traferii da lei e poi... poi... be, il resto lo sai... - espirò pesantemente, non credeva che sarebbe riuscito a raccontare tutto senza crollare. Ringraziò il fatto di aver avuto come sostegno le braccia del ragazzo, il suo petto caldo sulla schiena e i battiti del suo cuore che acceleravano a tempo con i leggeri sussulti.

Our crazy psichotic love_Attack on titan_Yaoi 18_LevixEren Riren Ereri ErenxleviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora