11 We used to be a wonderful team

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11 We used to be a wonderful team

Sabato.

Il sabato prima era uno dei miei giorni preferiti della settimana. Era uno dei giorni in cui mi allenavo. Lo so che è strano allenarsi di sabato, ma a noi piaceva così. Ormai non era più uno dei miei giorni preferiti, dato che non potevo più giocare. Ci stavo male, dato che amavo la pallavolo.

Era la mia passione più grande.

Era la mia valvola di svago.

Era la mia seconda casa.

Era il luogo dove mi rifugiavo nei momenti di tristezza.

Ma non avrei potuto riprendere a giocare mai più. Il mio corpo non me lo avrebbe permesso, era troppo lacerato. Ma volevo veramente bene alle mie compagne di squadra.

Loro erano le sorelle che non avevo mai avuto. E l’allenatore il mio migliore amico.

Lasciarli per me era stato doloroso, ma piano piano ci si abitua anche al dolore, no? Beh, la mia risposta era no. L’uomo non riesce ad abituarsi a soffrire. E io di certo non ero l’eccezione. Come scusa avevo detto che avevo dei problemi alla colonna vertebrale, e che la pallavolo era proprio sconsigliata. Non volevo che loro sapessero della mia situazione. Perché poi quando la gente sa, ti compatisce. E io odiavo essere compatita. Ma mi piaceva comunque andarle a trovare. Così tutti i sabati le andavo a vedere. E poi mi dicevano che non ero masochista. Andavo a soffrire di mia spontanea volontà, perché io adoravo giocare a pallavolo con le mie amiche. Loro c’erano sempre per me, non se ne andavano mai. Se avevo bisogno di aiuto andavo da loro senza esitare. Mi capivano meglio di chiunque altro. E l’allenatore, Michele, mi aiutava sempre. Capiva quando una giornata era storta e mi aiutava a non pensare a niente inventando esercizi strampalati sul momento.

Sfortunatamente era ancora mattina, avrei dovuto aspettare tutto il giorno prima di poter andare in palestra.

Così, senza lasciare i miei pensieri, mi incamminai verso l’ingresso della scuola.

- Camilla! - sobbalzai. Mi voltai e vidi Matteo. - tutte le volte che ti saluto salti, eh? - arrossii immediatamente.

- n-non me l’aspettavo, tutto qui. - lui come risposta mi sorrise.

- allora, oggi hai da fare? - in quel momento avrei tanto voluto dire di no. Volevo stare con lui, anche perché mi ero completamente dimenticata dell’avvertimento di Federico. Ma avevo proprio bisogno di andare in palestra per liberare la mia mente.

- mi dispiace, ma oggi pomeriggio devo uscire. - il suo volto si rabbuiò.

- oh. -

- dai, sarà per un’altra volta. - sorrise immediatamente.

- ci conto. - quel sorriso lo avevo già visto…ma non mi ricordavo dove… e anche quegli occhi, ora che ci facevo caso…

- è meglio se vado in classe. -

- va bene. Ci si vede in giro! - si avvicinò, ma prima che potesse darmi un bacio sulla guancia, mi scansai e andai dritta in classe, lasciandolo in mezzo al corridoio con la bocca spalancata.

Entrai velocemente in classe e mi sedetti al mio banco, senza mettere le cuffiette. Vidi un ragazzo avvicinarsi alla mia sedia.

- hei! - lo guardai. Era alto, molto alto. Capelli biondo cenere e occhi marroni. ‘mi sembra che si chiama Nicola, o forse Fabio. No, Fabio è quell’altro. Allora lui è sicuramente Nicola!’

- ciao. -

- posso? - chiese indicando la sedia accanto alla mia.

- certo. - si sedette e mi guardò.

Aspettando la felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora