30 Those days are so far away

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30 Those days are so far away

FEDERICO

Era passata una settimana, e Camilla non si faceva vedere a scuola. ‘Sarà colpa mia?’ mi chiedevo in continuazione. Giulia non mi diceva nulla, anche se ero sicuro che sapesse qualcosa.

Avevo provato a chiamarla, a mandarle dei messaggi.

Ero addirittura andato a casa sua, ma la madre mi diceva sempre che non c’era.

Sapevo che era in camera sua, vedevo la sua ombra dalla finestra. Ma non voleva parlarmi. Mi era venuto in mente anche di arrampicarmi come era già successo in passato. Ma la signora che abitava difronte a casa sua era già spaventata da me, poiché mi aggiravo spesso da quelle parti. Sicuramente mi avrebbe preso per un ladro.

E intanto morivo dentro giorno dopo giorno.

Ancora non riuscivo a credere che fosse veramente finita.

Forse era destino.

Forse doveva andare così.

Forse tra noi era finita per sempre.

Dopo una ventina di minuti che ascoltavo della musica sentii bussare alla porta.

- ma', te l'ho detto un milione di volte che non mi devi dare fastidio quando ascolto la musica! -

- peccato che non sia tua madre, deficiente! -

- Simone? Entra! - il mio migliore amico aprì la porta e si appoggiò allo stipite con fare molto teatrale. - cosa ti porta qui? - alzò il sopracciglio.

- lo sai benissimo. - si avvicinò e si sedette vicino a me. Abbassai lo sguardo. - perché non le hai ancora scritto? - alzai di scatto il viso.

- io non le ho scritto?! Le ho inviato una marea di messaggi e l’ho chiamata! Ma lei non mi risponde! Credi che non abbia voglia di vederla?! Sto morendo dalla voglia di stare con lei! - misi la testa fra le mani. Simone mi diede una pacca sulla spalla.

- devo dire che ti manca molto. - 'ma sei un genio! Meriti il premio Nobel per l'intelligenza!' - allora perché non vai direttamente a casa sua? -

- ci sono andato! Ma niente, la madre dice sempre che non c’è! Ma in realtà sta in camera sua, la vedo. E poi dopo averla fatta soffrire così tanto merito solo di essere preso a calci. - mi misi a guardare il pavimento. - me le passi? - aggiunsi poco dopo.

SIMONE

Non capivo cosa voleva gli passassi. Poi guardai nella direzione che stava indicando con l'indice. Rimasi scioccato.

- da quanto tempo fumi? - ci pensò un po' su prima di rispondere.

- circa una settimana. Ora me le passi? - mi alzai di scatto in piedi.

- no! Ma dove diavolo hai la testa?! Tu che dicevi sempre che il fumo fa male, danneggia gli organi e tutte quelle cose là, ora ti metti a fumare? - si alzò anche lui.

- si, hai qualche problema? -

- no, tu hai qualche problema! - presi il pacchetto di sigarette che stava sul suo comodino e le misi nella mia tasca.

- che fai? -

- le porto lontano da te! Se Camilla ti vedesse in questo stato... -

- ma lei non mi vedrà. E non lo saprà nemmeno, capito? - annuii.

- devi capire, però, che non è fumando che rimedierai a ciò che hai fatto. - andai verso la porta per uscire. - sai, ridotto così sei proprio identico a tuo padre. -

Sapevo di aver toccato un tasto dolente della sua vita, ma sapevo anche che avrebbe fatto di tutto per tornare il vecchio Federico pur di non assomigliare al padre.

FEDERICO

Ridotto così sei proprio identico a tuo padre.

Quelle parole rimbombavano nella mia mente, non dandomi pace.

Stavo veramente diventando come quel mostro?

Mi stavo veramente rovinando la vita in quel modo?

Simone sapeva che avrei fatto di tutto pur di non assomigliare a mio padre.

Lui picchiava mia madre e  non voleva avere figli.

Quando era nato Giacomo aveva “chiuso un occhio”.

Ma quando mia madre gli disse di aspettarmi, partì e se ne andò chissà dove con una ragazza di venti anni più giovane.

Lo vedevo raramente, e in tutte le occasioni fumava, beveva e provava ad alzare le mani su di noi.

Forse dovevo smettere di fumare, mi stavo rovinando la vita da solo.

Eppure le sigarette sembravano riempire per poco tempo il vuoto che provavo per via dell’assenza di Camilla.

Mi avvicinai all’appendiabiti e dal giacchetto tolsi i due pacchetti di sigarette che c’erano e li buttai in una busta. Poi andai vicino all’armadio e tirai fuori quattro bottiglie di birra, una di vodka e due di whisky che gettai ugualmente nella busta. La presi e andai di fuori, verso i cassonetti, dove buttai tutta quella robaccia che mi stava facendo solo del male.

Tornai in camera mia e mi misi a guardare le foto mie e di Camilla.

Strinsi al petto quella che ci ritraeva al parco una volta che lei si fu ripresa “dall’incidente”. Ero seduto su un’altalena, lei in braccio a me. Ridevamo spensierati, non curanti di ciò che ci circondava. Eravamo solo io e lei in quel momento.

Improvvisamente mi sembravano così lontani quei giorni in cui ci divertivamo come bambini…

Aspettando la felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora