26 I depend by your smile

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26 I depend by your smile

Lo sentivo.

Riuscivo a sentirlo.

Volevo aprire gli occhi.

Volevo assolutamente vederlo.

Ma non ci riuscivo.

I miei occhi erano chiusi e non riuscivo ad aprirli.

Lo sentivo.

Provavo una fitta al petto nel sentire il dolore che gli stavo causando.

Sentivo che stava piangendo.

Volevo consolarlo.

Ma non potevo.

Lo sentivo.

Gli mancavo molto.

Diceva che avrebbe sacrificato la sua vita per me, per riavermi con lui.

Io non vivo senza di te, aveva detto.

Nemmeno io sarei riuscita a vivere senza di lui.

Sentirlo in quel momento al mio fianco mi aiutava ad essere forte.

Volevo piangere, ma non ci riuscivo.

Volevo stringergli la mano, ma non ci riuscivo.

L'unica cosa che riuscivo a fare era ascoltarlo.

Ascoltarlo e amarlo.

Diceva che forse non mi sarei ricordata nulla del mio passato, del mio presente, di lui.

Ma come potevo dimenticarlo?

Lui che aveva stravolto la mia vita, mi aveva fatto stare bene dopo tanto tempo.

Non potevo dimenticarlo.

Sarei riuscita a ricordarmi tutto, avrei lottato contro la mia mente che avrebbe preferito dimenticare.

Non gli avrei permesso di lasciare la mia mente.

FEDERICO

I giorni passavano, ma Camilla non si risvegliava. I dottori avevano detto più volte che le possibilità che non di riprendesse erano veramente molto basse. Ma lei non si svegliava.

Io stavo male tutti i giorni. Non mangiavo quasi niente, appena uscivo da scuola mi catapultavo all’ospedale. Non volevo che si svegliasse da sola. A meno che non si fosse ripresa la mattina mentre ero a scuola, volevo esserci. Stavo lì e non mi muovevo fino a notte fonda. Tornavo a casa solo per dormire.

- Federico, devi riposare. - mi ripeté per la millesima volta Giacomo mentre stavo sull’autobus.

- io mi riposo! - protestai. - ora però devo andare, sono arrivato all’ospedale. Ciao. -

- non provare a riatt… - chiusi la chiamata e spensi il telefono. Andai di corsa nella stanza di Camilla. Entrai e mi avvicinai a lei. Le diedi un leggero bacio, poi mi sedetti sulla sedia vicino al suo letto.

- hei, eccomi qui come al solito. Sai, oggi ho rischiato l’espulsione. - ammisi. - mi sono picchiato di nuovo, con Matteo. Continuava a chiedermi che fine avessi fatto ridendo e chiamandoti sgualdrina. Io glielo avevo detto di smettere, ma lui continuava, andandoci sempre più pesante. Alla fine sono esploso. Fortunatamente il preside ha detto che per questa volta avrei preso solo una nota disciplinare. Lo so che non avrei dovuto, ma non si deve permettere di insultarti. No, non dopo quello che hai passato. Avresti dovuto vedere come l’avevo ridotto! Aveva il volto coperto di sangue. Probabilmente gli ho rotto il naso, come lui aveva fatto con me un po’ di tempo fa. - ripensai a quel giorno. Ricordavo ancora l’espressione preoccupata sul volto di Camilla quando mi vide sul letto dell’infermeria. ‘quanto tempo è passato e quante cose sono successe.’ - ma adesso non mi va di parlare di quello che ho fatto a scuola. Vorrei che tu mi dicessi ciò che hai fatto oggi. Vorrei che mi sorridessi, raccontandomi che per sbaglio sei andata addosso ad una vecchietta al supermercato, o che sei andata al mare con Giulia e avete preso una pallonata in faccia perché alcuni ragazzi un po’ maldestri l’hanno lisciata mentre giocavano a schiaccia sette. Lo vorrei tanto. - mormorai. - lo vorrei tanto. Vorrei abbracciarti, sentire le tue braccia intorno al mio collo, sentire il tuo respiro sul mio collo mentre mi parli dolcemente. Vorrei sentirti cantare di nuovo. Vorrei tanto ascoltare di nuovo la tua voce dolce e soave. Ma adesso non posso, ed è tutta colpa mia. - chiusi gli occhi e abbassai il volto.

Provai ad immaginare di nuovo la sua voce, avevo il disperato bisogno di sentirla. Ma più ci pensavo, più mi veniva da piangere. Riaprii gli occhi e la guardai. Era così bella, in pace con il mondo intero. Sembrava che nulla l’avesse mai scalfita. Sembrava assolutamente estranea al dolore, quando in realtà aveva sofferto, e anche troppo.

- sai, l’altro giorno ho sentito una persona in televisione che diceva: sorridi, sorridi sempre e comunque. Sappi che per ogni persona ce ne è almeno una che dipende dal suo sorriso. Lo sai che aveva proprio ragione? Solo ora ho capito di dipendere dal tuo sorriso. Per me  è diventato vitale vederti sorridere e ridere, soprattutto quando lo fai sinceramente. Non credo che riuscirei a stare senza un tuo sorriso… - scossi la testa. Basta, non dovevo più pensare a certe cose, peggioravano solo il mio umore. Riaccesi il telefono, ormai mio fratello non mi avrebbe più chiamato, tirai fuori dallo zaino i libri e mi misi a fare i compiti per il giorno dopo.

****

Cause I remember every sunset 

I remember every word you said 

We were never gonna say goodbye 

Singing la da da da da 

La suoneria del mio telefono mi svegliò.

Non guardai nemmeno chi fosse il mittente, schiacciai direttamente il tasto verde.

- pronto? - mugugnai.

- Federico! Ma dove diavolo sei?! - urlò Giacomo al telefono.

- all’ospedale. Ma te non urlare. - mi lamentai.

- non urlare?! Ma sai almeno che ore sono?! -

- no, ma dato che me lo chiedi  deve essere tardi. -

- esatto! È mezzanotte! - spalancai gli occhi.

- davvero? -

- no, deficiente, ti sto prendendo in giro, dato che amo arrabbiarmi con te! Ma che razza di domande fai? - okay, non ci stavo più capendo niente. Mi stava prendendo in giro o no? Guardai l’orologio: era mezzanotte veramente.

- va bene, va bene, ora arrivo. -

- ti conviene! - chiusi la chiamata e mi alzai in piedi. Misi la mia roba a posto, poi guardai Camilla.

- scusami tanto se mi sono addormentato, e soprattutto perché ora me ne devo andare. Ci vediamo sicuramente domani, tranquilla. - le diedi un bacio e uscii dall’ospedale.

Ritornai a casa abbastanza velocemente.

Quando aprii il portone, mi trovai davanti mio fratello.

- ce l’hai fatta! - esclamò. - ma che hai fatto tutto questo tempo? -

- mi sono addormentato mentre facevo i compiti. - ammisi. Giacomo corrugò la fronte, poi aprì un paio di volte la bocca, senza riuscire ad emettere un suono. - lo so, sono un deficiente. Ora però voglio dormire. Buonanotte. - lo scansai e me ne andai in camera nostra. Poggiai lo zaino al suo posto, mi cambiai e mi misi sotto le coperte. ‘ti prego, Camilla, rimettiti presto.’

Aspettando la felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora